Bei tempi quando l’uomonero si nascondeva sotto il letto e nell’armadio. Ogni cultura aveva il proprio modo di descriverlo, attribuirgli poteri, limiti, comportamenti capaci di evocarlo. Faceva paura, è vero, quando s’insinuava come presenza indefinita nei sogni, nel rosicchio del tarlo, in una corrente d’aria sul viso, e nelle notti rischiarate dai lampi del temporale pareva di scorgerlo in agguato dietro il vetro della finestra. Faceva davvero paura l’uomonero al tempo dell’infanzia, ma bastava accendere la luce per scacciarlo. Allora costava pure poco…
Adesso l’uomonero è dappertutto: nei cibi, nell’aria, nell’acqua, nello straniero, nel diverso; accendere la luce non serve, anzi è peggio, perché rivela quanto il nero sia riuscito a diffondersi, anche dentro chi si è allontanato dalla costa, ma forse non abbastanza per sfuggire al presente.
Insieme alle mezze stagioni si sono perse anche le mezze misure, il limbo della coscienza dov’era possibile avventurarsi nei desideri senza perdere del tutto la strada per l’ovile. Predatore o preda, sembra essere la scelta ineluttabile suggerita dalla lettura delle cronache; s’è fatto scuro per chi vorrebbe solo vivere in pace dignitosamente…
Ogni giorno osserviamo come la tragica cecità di cui sono portatori gli uominineri stia omologando sentimenti, pensieri e comportamenti che pensavamo sepolti in un tempo lontano.
Finita l’ubriacatura pseudo democratica del dopoguerra, ormai disperse le voci degli eterni fanciulli della libertà, ci ritroviamo a fare i conti con la minaccia dei peggiori incubi di trasformarsi in realtà.
Non voglio buttarla sul catastrofico, è un genere che non mi piace, oltretutto non serve a far riflettere, al massimo ci si può fare un bel film di patriottica spazzatura per rispondere alla domanda del mercato, mettere in scena la quintessenza della stupidità umana responsabile della catastrofe, che tanto piace agli appassionati divoratori di popcorn.
Eppure pareva ce ne fossimo liberati degli uominineri, eravamo fiduciosi che l’Illuminismo avesse ricacciato i neri pennuti nella palude mentale dov’erano nati; e invece eccoli, più numerosi che mai: merli, corvi e cornacchie determinati a sterminarsi gli uni con gli altri per l’esclusiva del nero.
Dobbiamo aver ancora paura dell’uomonero? Di quelli che hanno terrorizzato per secoli l’umanità brandendo un libro credo di no: hanno fatto il loro tempo, se la sono spassata abbastanza ammazzando i lettori impertinenti e i seguaci di altri libri fino a quando hanno potuto, per poi derubricare le divine pretese in una multinazionale dello spirito.
Anche delle ambizioni egemoniche degli altri uominineri non credo si debba aver paura: i fatti di sangue a cui stiamo assistendo sono gli ultimi rigurgiti di chi ha buon gioco a incanalare la disperazione dilagante; verranno tollerati finché farà gioco ai signori della guerra e del petrolio, poi ci penseranno i cannoni della democrazia a spazzarli via con gran giubilo delle popolazioni oppresse, che potranno tornare al passatempo preferito di far saltare per aria quelli che il libro lo hanno tradotto male. E poi ricomincerà in qualche modo, perché troppa pace fa riempire gli arsenali. Chissà, forse in futuro la prossima minaccia verrà dai buddisti…
Se c’è qualcosa di cui dovremmo aver paura oggi, è di vedere l’uomonero negli occhi di un familiare, nello sguardo di chi credevamo amico, nelle istituzioni.
Solo i lesti di lingua se la passano bene, quelli che non avendo le palle per rivelare la natura oscura dei propri desideri, millantando il bene comune fanno corte con gli uominineri e, lecca oggi, lecca domani, qualcosa da masticare gli entra sempre in bocca. Dico bene Antonio?
A Palermo c’è il sole,la temperatura è mite, spira una brezza tesa da ponente e l’aria profuma di mandarino.
Giornata ideale per pescare vacuoli di senso esistenziale nei colori del mare.
Arvales presenta un nuovo intervento: La paura dell’uomo nero