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La perduta arte di sficcanasare in biblioteca

Creato il 01 novembre 2011 da Unarosaverde

Ieri pomeriggio ho ricevuto un messaggio sul cellulare: “Il volume da lei prenotato è disponibile per il ritiro”. L’avrò già detto mille volte, alla bibliotecaria, che non è necessario avvertirmi, che una volta a settimana la testa in biblioteca la infilo comunque, visto che ci passo davanti, sulla strada del lavoro, anche solo per restituire quello che ho letto. Lei sorride, gentile, e risponde che si attiene alle regole.

Adoro il sistema bibliotecario di cui fa parte questa bibliotechina: apro il sito dell’OPAC dovunque mi trovi, cerco quello che mi serve, lo prenoto, controllo le scadenze dei miei prestiti, inserisco suggerimenti per nuovi titoli da acquistare e il lunedi pomeriggio, quando il corriere che fa da navetta tra le biblioteche del comprensorio ritira e consegna, ci sono i miei libri sul bancone, pronti per me.

Eccoli lì, già inseriti nel mio profilo utente, con il segnalibro che ricorda orari e data di scadenza del prestito che spunta fuori dalle pagine. Tutto è facile, rapido, efficiente. Ogni tanto però mi viene la nostalgia delle vecchie schede prestito. Funzionava così anche dalle vostre parti? Appiccicata all’ultima pagina, sul lato della copertina, c’era una bustina che accoglieva un cartoncino colorato. In tempi in cui si chiedeva privacy solo per le funzioni fisiologiche, l’assoluta trasparenza delle schedine suonava innocente e permetteva a chi, come me, è convinta che si possa definire una persona con la risposta al “dimmi chi leggi e ti dirò chi sei”, di perdersi in deliziose divagazioni di pura curiosità.

Non che sapere chi si fosse portato a casa prima di me “Programmare in Pascal” fosse particolarmente interessante ma, per esempio, non resistevo all’impulso di conoscere chi avesse girato le pagine dei libri per adulti, alla “Opus Pistorum” per esempio. Non ridete: da adolescente c’erano certe tappe obbligate lungo la via della scoperta del sesso dalle quali i malati di libri passavano, specialmente se di pratica ne facevano poca, avevano urgenza di capire certi codici di comunicazione degli adulti ed erano convinti che la parola erotismo fosse solo una questione di padroneggiare tecniche. Oppure ritrovavo gli stessi nomi più e più volte, sui libri di poesia, sui grandi classici, e mi sembrava che ci fosse un percorso invisibile ma ben delineato che intrecciava i testi, da scaffale a scaffale, da settore a settore, come una lunga caccia al tesoro.

E non avete mai avuto la sensazione strana, di pioniere triste, quando scoprivate che eravate i primi ad aver desiderato di leggere proprio quel libro lì, che nessuno aveva ancora degnato di considerazione? Alcune schede invece si riempivano in poche settimane: erano quelle dei best-seller o dei classici che dovevi intercettare per tempo facendoti largo a gomitate tra le code di prenotazione; altre raccontavano di lunghe storie di attesa sugli scaffali tra un’uscita e l’altra. Nomi, cognomi, date. Certe persone le conoscevo, altre no. Quanti anni avevano? Gli era piaciuto? Da quali libri erano giunti fin lì o verso quali ripartivano dopo?

Dai, direte voi, adesso c’è Anobii: apri il sito e fai la guardona fin che vuoi. Ma sì, forse avete ragione, ma quelle schedine mi raccontavano storie immaginate e il loro rosa acceso mi svelava legami fisici tra parole e lettori, come le macchie di caffè sulle pagine, i moscerini spiaccicati vicino alla rilegatura, un fiore secco, un angolo piegato a tenere il segno.


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