Magazine Politica
Finire sulla copertina di un settimanale politico come L'espresso non deve aver provocato entusiasmi eccessivi e smodati nell'entourage di Umberto Bossi. Anche perchè, ultimamente, sono sempre più frequenti le inchieste (come appunto quella del settimanale attualmente diretto da Bruno Manfellotto, http://espresso.repubblica.it/dettaglio/lega-padrona/2135484) e i servizi dei principali quotidiani italiani che documentano puntualmente la penetrazione di esponenti leghisti nelle banche, negli enti e nelle fondazioni pubbliche e private, così come nelle Asl e nelle reti televisive. Si moltiplicano le tensioni e i conflitti fra la Lega e il Pdl per occupare, a Roma o nelle regioni del Nord, una miriade di posti e di posizioni di potere. Un sistema complesso, abitualmente definito come sottogoverno, che gestisce grandi risorse finanziare e favorisce la stretta integrazione fra politiche pubbliche e affari privati. Con la possibilità di ottenere importanti benefici, più o meno leciti, per tutti i partecipanti. Siamo di fronte a una sorta di mutazione genetica del Carroccio? Forse. E ritengo quindi sia utile riflettere con più precisione sulle premesse, sul contesto e sui possibili effetti del processo in corso. Tutti ci ricordiamo (almeno credo) come la Lega, negli anni 90, manteneva il monopolio sul terreno dell'antipolitica con le famigerate campagne contro Roma ladrona e le conseguenti polemiche generalizzate contro tutte le èlite politiche, economiche e culturali. In molte occasioni lo stesso Bossi sottolineava ed enfatizzava il carattere popolano e popolare del movimento leghista. Le virtù di laboriosità, parsimonia, onestà ed intraprendenza della gente comune del Nord erano contrapposte alle logiche proprie dei grandi operatori economici quali le banche, le grandi imprese private e soprattutto le statali. La Lega, però, non aveva il sostegno della borghesia del Nord e neppure quello delle tradizionali associazioni di rappresentanza degli interessi. Il Carroccio cercò allora di dar vita, in modo autonomo, a una sorta di società civile padana, dai sindacati alle associazioni culturali e ricreative, fino alla creazione di una vera e propria banca padana (la CredieuroNord). Il progetto servì a motivare e a mobilitare gli attivisti e i sostenitori del Carroccio ma non ottenne grandi risultati. L'avventura della banca leghista si concluse ben presto con un ignominioso tracollo finanziario. Il quadro, però, cambiò profondamente nel 2008 quando i voti leghisti raddoppiarono soprattutto a spese dei partiti confluiti nel PdL. Nelle successive elezioni regionali l'avanzata della Lega è continuata senza interruzioni, con la conquista della presidenza di Veneto e Piemonte e che vede a tutt'oggi sventolare la bandiera verde in 14 province e in 350 comuni. Nel contempo l'attuale conflitto tra Berlusconi e Fini ha fatto crescere il peso politico della Lega all'interno della coalizione di centrodestra determinandone un ruolo molto più influente rispetto alle previsioni più ottimistiche dei lumbard; il tutto senza rinunciare a quel marchio di fabbrica costituito da domande e proteste popolari, soprattutto a livello locale. Bisogna anche evidenziare che oggi non sono solo i settori popolari il riferimento principale della Lega e che d'altra parte sono stati abbandonati gli accenti polemici del passato nei confronti della grande borghesia. Attualmente il partito di Bossi ha allargato i consensi nell'ambito delle classi dirigenti dell'Italia settentrionale, valorizzando la propria capacità di rappresentarne gli interessi in modo più efficace rispetto alle altre forze politiche oltre ad accaparrarsi le simpatie di numerosi manager e imprenditori di terza e quarta fila. Le dichiarazioni del Senatùr circa la volontà di conquistare le banche del Nord hanno apertamente esplicitato un nuovo salto di qualità nella politica leghista. Il progetto, già da tempo avviato dal partito, mira all'occupazione diretta da parte di esponenti della Lega di tutte le posizioni possibili nel sottogoverno: i poteri acquisiti nelle istituzioni politiche nazionali, regionali e locali possono trovare un naturale e tradizionale completamento con i posti disponibili negli enti pubblici, nelle fondazioni economiche e nelle banche. In parallelo alla competizione (sul terreno elettorale) con il partito di Berlusconi, si è perciò sviluppata una serrata contesa fra la Lega e le diverse componenti del PdL, e queste aspre dispute per le poltrone e per la distribuzione dei finanziamenti richiamano alla memoria le epiche battaglie degli anni 80 tra il PSI di Craxi e la DC. La novità è che oggi l'attuazione del progetto leghista comporta uno squilibrio tra il numero dei posti disponibili (o conquistabili) e gli esponenti del Carroccio di cui Bossi può fidarsi ad occhi chiusi: la soluzione l'hanno rapidamente trovata moltiplicando a dismisura gli incarichi affidati ad alcuni dirigenti locali che però provoca una sorta di rigetto nell'opinione pubblica, la quale critica (credo a ragione) questa tendenza alla creazione di feudi personalizzati in diversi contesti regionali. Il rovescio della medaglia è rappresentato dal fatto che occupando con maggiore disinvoltura tutte le posizioni possibili a livello di sottogoverno, il partito di Bossi sembra perdere quei tratti che l'avevano caratterizzata nel passato mentre ora si ritrova giocoforza protagonista di polemiche sterili ed inutili pur di sottolineare la sua diversità e la sua vocazione di rappresentanza privilegiata del Nord. Ormai la Lega è così direttamente coinvolta negli affari economici nazionali da dover spostare l'attenzione degli italiani sulle battutacce di Bossi sui porci romani al posto della tradizionale Roma ladrona. Salvo poi chiedere scusa e battere in ritirata per non delegittimare troppo la sua presenza al governo e nel sottogoverno. Non prima di aver fatto una bella mangiata di polenta e pajata con Alemanno e la Polverini. Alla faccia dei romani.
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