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La poesia e i barbari

Creato il 12 novembre 2010 da Fabry2010

 

La poesia e i barbari

di Alessandro Seri

Tiziano Terzani diceva che di fronte ad un bivio tra una strada in discesa ed una in salita bisognerebbe sempre prendere quella in salita. Ovvio che la strada in salita comporta più fatica nell’affrontarla ma la soddisfazione alla fine del percorso è diversa, la visione che si ha del mondo dall’alto ci ripaga dello sforzo. Trentacinque anni fa moriva ammazzato all’idroscalo di Ostia il più importante intellettuale italiano del secondo Novecento, Pier Paolo Pasolini, e subito mi si sposta la memoria a qualche mese indietro, credo fosse febbraio 2010, durante la presentazione che stavo facendo ad un libro di poesie di una cara amica a Civitanova Marche. C’era tra il pubblico un ragazzo sui diciotto-diciannove anni che scattava foto, ad un certo punto è intervenuto dicendo: “a me piace quello di cui state parlando, sento che dite belle cose, però proprio non le capisco.” Ho pensato che fosse più importante provocare degli stimoli al ragazzo piuttosto che continuare la presentazione canonica e con il beneplacito dell’autrice ho accennato a Pasolini, parlando della sua preveggenza sociale. Ho tentato di spiegare che Pasolini aveva intuito prima di altri il degrado morale causato da media fagocitanti come la televisione. Il ragazzo sembrava attento, ma aveva una retro espressione inquieta. Pensavo di aver fatto una gran cosa, pensavo di aver utilizzato un riferimento semplice e al tempo stesso utile a comprendere che la poesia può aiutare a cambiare il mondo, a modificare il corso della propria ed altrui vita. Poi il ragazzo mi ha osservato un istante e mi ha chiesto – “Scusa ma chi è Pasolini?” –. Avevo commesso il più grande errore possibile, tra l’altro molto comune tra gli intellettuali odierni: non mi ero connesso con la contemporaneità. Ho ripetuto lo stesso errore questa estate, sempre con una ragazza di diciannove anni, ma stavolta parlavamo di musica ed io tessevo le lodi di Edith Piaf: la ragazzina puntualmente mi ha chiesto chi fosse Edith Piaf. Questi due episodi sono stati per me assai utili per spiegarmi il deserto che stiamo lasciando dietro di noi, la desolazione universale. È un tempo barbaro questo, dove governa la volgarità, dove gli esempi che vengono proposti ai nostri ragazzi non hanno nulla a che fare con i concetti del bello, dell’onesto, del dignitoso. La poesia da sempre tende verso il bello, verso l’etico, verso l’onesto e proprio per questo è diventata un peso per la società dei consumi; il mercato del lavoro la demonizza manco fosse il più grande di tutti mali, sicuramente un male più grave rispetto alle speculazioni finanziarie, agli illeciti amministrativi, ai crack che mandano sul lastrico migliaia di famiglie di risparmiatori e lavoratori. La poesia nel XXI secolo è il nemico da abbattere e ci stanno riuscendo. Una poetessa di venticinque anni, brillante, laureata, talentuosa, mi ha raccontato qualche giorno fa di essersi presentata ad un colloquio per un lavoro interinale in un call center. Sul curriculum aveva stampato oltre ai titoli di studio eccellenti, oltre alle altre esperienze lavorative passate, che la poesia era tra le sue passioni. Il datore di lavoro le ha detto: – “Scrivere poesie denota una parte del suo carattere incompatibile col mercato del lavoro e con ciò che stiamo cercando” – . La ragazza ha tentato di ribattere ma la risposta è stata un assoluto diniego. Nel 2006, il sottoscritto lavorava da undici anni, sempre con contratti di collaborazione occasionale, nel sindacato che più si espone nel contrasto al concetto di lavoro precario; uno dei capetti del sindacato mi convocò per delle comunicazioni e mi fece presente l’incompatibilità tra il mio essere “visibile pubblicamente” come poeta e il ruolo che ricoprivo nel sindacato in quel periodo. Quindi mi fu chiesto di scegliere tra la poesia e il sindacato. Ho scelto la poesia mantenendo la dignità che oramai deficita persino nei sindacati di sinistra (Di Vittorio non si sta rivoltando nella tomba, è ormai una trottola). Tutta questa teoria di fatti è un tentativo di spiegare e spiegarmi un mutamento sociale che intuisco da qualche tempo. Forse i poeti hanno rappresentato per troppi secoli il punto di riferimento sociale, culturale e umano; forse sono stati per troppi secoli l’esempio da seguire, almeno sul versante laico della vita. Ma ora che a dettare le regole del gioco sono potenti di un’ignoranza mostruosa, ora che la mediocrità è al potere, ora che le barzellette xenofobe o sessiste sono sulla bocca dei capi, probabilmente si sta assistendo, senza avere nemmeno gli strumenti per reagire, alla tremenda vendetta di chi sapeva da secoli di essere ignorante e volgare. La poesia è ai margini, affossata, denigrata e sbeffeggiata, la poesia è degli umili, dei perdenti, degli offesi; la poesia è dei migranti, degli straccioni, degli zingari e dei senzatetto, la poesia è proprietà delle Maddalene di tutto il mondo e non sarà mai compresa da nessun Ponzio Pilato, da nessun sadduceo proprio come le preghiere e le canzoni partigiane.



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