di Annalisa Boccalon
L’11 febbraio i negoziatori ciprioti greci e turchi hanno raggiunto un accordo congiunto sulla necessità di riavviare i negoziati sotto l’egida ONU per risolvere la questione di Cipro Nord. Era il 20 luglio 1974 quando con la cosiddetta Operazione Atilla le truppe turche invasero un terzo dell’isola di Cipro, appellandosi al Trattato di Zurigo e Londra del 1960, per stroncare il colpo di Stato del movimento nazionalista EOKA B, sostenuto dalla Guardia nazionale cipriota e dal regime dei Colonnelli dal 1967 al potere ad Atene, ai danni dell’Arcivescovo Makarios, primo Presidente della Repubblica di Cipro dopo l’indipendenza dal Regno Unito. L’intervento turco, che portò infine nel 1983 alla nascita della Repubblica Turca di Cipro Nord (Kktc) presieduta da Rauf Denktaş – ufficialmente riconosciuta solo da Ankara – si inscriveva peraltro nel solco degli scontri intercomunitari dell’inizio degli anni Sessanta e che indussero le Nazioni Unite ad istituire la missione UNFICYP (United Nations Peacekeeping Force in Cyprus), inoltre incaricata successivamente di vigilare sull’applicazione del cessate il fuoco del 1974 e di controllare la green line di 180 Km che di fatto ancora oggi divide in due la città di Nicosia. Da allora i tentativi di risoluzione delle disputa territoriale sono stati innumerevoli, anche con la mediazione delle stesse Nazioni Unite: il risultato tuttavia è sempre stato negativo, principalmente a causa della pretesa turca di ottenere il riconoscimento internazionale (mentre l’ONU ha sempre sostenuto che il Trattato di garanzia dava il diritto di intraprendere azioni al solo fine di ristabilire lo status quo ante), con importanti implicazioni di carattere politico, sia regionale sia internazionale.
L’ultimo tentativo – L’ultimo significativo tentativo di risoluzione del conflitto risale a dieci anni fa quando, il 24 aprile, sotto la supervisione ONU, venne proposto un referendum sul cosiddetto “Piano Annan”, che prevedeva la creazione di un unico Stato federale, sul modello svizzero, formato da due Stati, quello greco-cipriota e quello turco-cipriota. Il piano prevedeva, inoltre, la smilitarizzazione dell’isola, con una diminuzione graduale delle truppe e il coinvolgimento della componente civile incaricata di verificare e promuovere il Foundation Agreement che le due parti avrebbero dovuto firmare nel caso di un esito positivo del referendum. Se i turco-ciprioti lo approvarono (64.91% dei voti favorevoli), i greco-ciprioti lo rifiutarono (75,83% dei no), anche perché ciò non avrebbe inficiato l’eventuale ingresso nell’Unione Europa, cosa che effettivamente accadde il 1 maggio. Da allora, anche se i negoziati non si sono mai completamente interrotti, non ci sono stati altri momenti in cui si sia potuto pensare ad una soluzione definitiva della questione, fino a inizio febbraio di quest’anno.
Fonte: BBCIl nuovo Joint Statement turco-cipriota – I leader delle due comunità cipriote, Nicos Anastasiades e Derviş Eroğlu, hanno raggiunto un accordo, siglato da un Joint Statement mediato dal capo missione ONU Lisa Buttenheim, per riavviare i negoziati che portino alla creazione di un unico Stato sovrano e indipendente, formato da due entità statuali separate e che garantisca l’uguaglianza di ciascuna nei confronti dell’altra. La federazione bizonale che ne scaturirebbe dovrebbe prevedere una ripartizione netta delle competenze tra il Governo centrale e i due Stati, inserita nella futura Costituzione della federazione. Questo auspicato assetto riconosce, dunque, una richiesta centrale della parte turca, ovvero la necessità che nessuno dei due Stati nascenti abbia più peso dell’altro e che ciascuno possa gestire i propri affari interni in modo autonomo. I due leader hanno convenuto, inoltre, sull’indizione di un referendum congiunto per sottoporre il futuro accordo all’esame popolare.
La posizione dell’Unione Europea – L’UE ha salutato favorevolmente il Joint Statement turco-cipriota che, secondo la Commissione Europea «dovrebbe aiutare le controparti ad affrontare rapidamente le questioni sostanziali e a raggiungere rapidi risultati nei negoziati». L’UE, nel comunicato diramato lo stesso 11 febbraio, si è messa a disposizione delle parti in causa per sostenere gli sforzi per raggiungere un accordo, anche attraverso la costituzione di un pacchetto di misure di confidence-building per facilitare l’avvio del processo negoziale.
Fonte: Natural Gas EuropeLe ragioni della ripresa delle trattative – Resta da chiedersi perché, dopo quarant’anni di congelamento del conflitto, questo nuovo round di negoziati dovrebbe lasciar sperare in una risoluzione definitiva. I motivi sono molteplici, tra cui innanzitutto quello energetico. Le recenti scoperte di gas nel Mediterraneo Orientale, sia nelle acque territoriali della Repubblica Greco-Cipriota sia in quelle dello Stato d’Israele, rappresentano una variabile di non poco conto ai fini dello sblocco dell’impasse di Cipro Nord. Lo scenario particolarmente profittevole che si aprirebbe vedrebbe giocare alla Turchia un ruolo importante: le riserve di gas giacenti in quell’area dovrebbero essere estratte da Cipro e Israele; successivamente, però, l’esportazione del gas naturale dovrebbe prevedere una connessione tra Israele e Turchia (tra l’altro anch’esse recentemente riavvicinatisi grazie alla mediazione USA dopo l’incidente della Mavi Marmara) per trasportare almeno una parte delle risorse energetiche estratte, che dalla stessa Turchia salirebbero attraverso il Corridoio Sud (dal Mar Caspio) fino al cuore dell’Europa. Va da sé che, per mettere in piedi un commercio talmente lucrativo per ciascuna delle parti, sarebbe indispensabile il raggiungimento di un accordo tra le due fazioni cipriote.
Non si può trascurare qui un ulteriore elemento, ovvero la crisi finanziaria che ha duramente colpito Cipro negli ultimi anni (si ricordi in tal senso la proposta dello scorso anno di prelievo forzoso dai conti correnti). Uno Stato cipriota debole, disunito e ancora percorso dalla frammentazione profonda in due comunità contrapposte, potrebbe essere altamente esposto al continuo riciclaggio di denaro sporco russo, con le conseguenti implicazioni sulla capacità del sistema bancario cipriota di reggere questo continuo afflusso di capitali russi. Una situazione che, per alcuni osservatori internazionali, rende Cipro facile satellite della Federazione Russa. Inoltre, a differenza del passato, la comunità greco-cipriota sembra molto più convinta e disposta a trovare una soluzione.
Prospettive – Il raggiungimento di un accordo che porti alla creazione della federazione bizonale nell’isola permetterebbe non solo di risolvere una questione che si protrae da quarant’anni, ma anche di sciogliere molti nodi che si sono formati nel corso dei decenni in altri contesti regionali e non solo. A tal proposito, si fa riferimento in particolare alla cooperazione NATO-UE, ostacolata da molto tempo proprio dalla presenza di Cipro all’interno dell’UE: la Turchia non accetta la presenza di Cipro ai vertici e alle operazioni di cooperazione tra le due organizzazioni e in particolare ha posto il veto all’ingresso di Cipro nella NATO proprio perché altrimenti sarebbe costretta a riconoscerne l’esistenza, a scapito della Repubblica Turco-Cipriota. Dunque, Grecia e Turchia, in seno alla NATO, sono divise e contrapposte dalla questione turco-cipriota, elemento che inficia, pur non essendo l’unico, su una cooperazione NATO-UE più efficace e solida.
Al tempo stesso, la questione turco-cipriota ha avuto e continua ad avere un’eco importante anche nel processo di adesione della Turchia all’UE: uno dei principali nodi da sciogliere per il prosieguo del processo di integrazione di Ankara nello spazio comunitario è appunto il riconoscimento di Cipro, una questione che è tornata a farsi spinosa in occasione del semestre di presidenza di Nicosia nella seconda metà del 2012. La risoluzione della questione turco-cipriota potrebbe condurre alla rimozione di un ostacolo, sinora considerato insormontabile, sulla via turca per Bruxelles.
Nel complesso, un esito positivo per questo nuovo round negoziale non potrebbe che andare a vantaggio dell’intera area orientale del Mediterraneo, garantendo un elemento ulteriore di stabilizzazione. Oltre alle considerazioni già fatte, va ricordato che vi sono alcuni attori che potrebbero svolgere un ruolo chiave per la soluzione della questione: in particolare gli Stati Uniti, che potrebbero voler ergersi a mediatori (l’assistente del Segretario di Stato per gli affari europei ed eurasiatici, Victoria Nuland, è stato di fatto in visita a Nicosia nei primi giorni di febbraio ribadendo la necessità di rafforzare i tentativi di negoziazione), per i quali la stabilizzazione dell’area – anche e soprattutto alla luce delle scoperte energetiche recenti – è di fondamentale importanza. Ancora, facendo riferimento al Trattato di Zurigo del 1960 che dichiarava indipendente Cipro, le tre potenze protettrici e garanti dell’assetto territoriale e costituzionale dello Stato sono Regno Unito, Grecia e Turchia. Se, da parte della Grecia, data la situazione economico-finanziaria, non vi sono ragioni per opporsi a oltranza ad un accordo, da parte turca un buon risultato potrebbe rappresentare un’occasione di rilancio della propria politica estera attualmente in una fase di difficoltà. Londra, dal canto suo, non avrebbe motivo di porre alcun veto, se non nella tutela delle sue storiche basi militari presenti nell’isola (Akrotiri e Dhekelia).
E’ evidente, dunque, che il ruolo forse più marginale verrebbe svolto proprio dall’Unione Europea, al netto delle dichiarazioni formali. Tuttavia, gli elementi per condurre ad un accordo sono molti e importanti, a cominciare da quello energetico, che è, forse, il più strategico in assoluto.
Annalisa Boccalon è Dottoressa in Scienze Internazionali e Diplomatiche (Università di Trieste)
Photo credits: Cyprus Mail
Share on Tumblr