Magazine Società
Caro Direttore,
mi è stato segnalato l'articolo di Federico Bollettin che, sul suo giornale, invita la chiesa padovana ad un incontro con i preti che hanno lasciato il ministero o che sono innamorati.
La proposta è bellissima ed auguro a Federico che la sua chiesa la prenda sul serio.
Forse i tempi cambiano.
In lettere private ho più volte sollecitato qualche vescovo, anni orsono, in questa direzione.
Ho sostenuto (e continuo a sostenere) che un vescovo non cessa di essere padre di un prete solo per il fatto che questi si sposa.
Purtroppo ebbi solo risposte cortesi, ma di diniego.
L'argomento scotta e continua a scottare per la gerarchia che preferisce far finta di non vedere e di non sapere piuttosto che affrontare il problema.
Se la chiesa padovana avesse il coraggio di accogliere la proposta di Bollettin non solo compirebbe un gesto profetico, ma s'accorgerebbe che questi suoi figli con le loro mogli ed i loro figli sono una ricchezza umana e cristiana.
Un prete che lascia il ministero, infatti, si trova di punto in bianco dall'altra parte dell'altare e sulla strada.
Non ha un lavoro (e spesso gli studi compiuti non gli consentono qualifiche accademiche per poter accedere a concorsi pubblici o privati), non ha una casa e si deve reinventare la vita.
Nulla di grave, per carità!
Proprio in questi ultimi due anni abbiamo visto troppe scene di gente che raccoglie gli effetti personali nello scatolone e abbandona forzatamente un posto di lavoro a causa della pesantissima recessione in essere. Ma il prete si chiede il motivo per cui per la sua comunità diocesana che ha servito per anni, non esiste più. Dall'annuario ecclesiastico diocesano viene cancellato non solo come prete nel ministero, ma anche dall'elenco dell'anno dell'ordinazione sacerdotale (ma non ero "sacerdos in aeternum", si chiede un po' dubbioso?); se chiede la dispensa per contrarre matrimonio religioso è sottoposto ad un processo canonico in cui sua moglie non è neppure coinvolta; nessuno dei confratelli si fa vivo e s'interessa a lui, alla sua famiglia, ai suoi bisogni. Diventa un lebbroso ecclesiastico, con tanti saluti alla carità cristiana ed all'attenzione agli altri che magari sente predicare dal proprio vescovo se per caso gli punge vaghezza di assistere al solenne pontificale della festa del patrono.
Spesso - negli anni passati - ho sollecitato i Pastori a coinvolgere noi preti che abbiamo lasciato il ministero ricordando loro che non siamo proprio dei reprobi, che la nostra esperienza potrebbe servire anzitutto per migliorare il progetto educativo dei seminari e, quindi, per esplorare nuove strade di servizi ministeriali che potrebbero portare a considerare seriamente la necessità di un sacerdozio uxorato (come fu per quasi mille anni nella comunità cristiana) che coinvolga non solo l'uomo, ma anche la donna (perchè uomo e donna sono persone, entrambe amate da Dio).
Ma dalla chiesa istituzionale viene solo il silenzio.
La chiesa istituzionale continua a pascersi di megaconvegni che sono spesso pieni di vuote parole; si chiude nelle cattedrali e riveste abiti sontuosi celebrando liturgie piene d'incenso compiendo gesti incomprensibili ai più; si raduna in seduta plenaria a Roma interrogandosi sui motivi della carenza del clero e dell'abbandono della pratica religiosa, ma non osa affrontare il tema del sacerdozio sia sul piano teologico che spirituale e pastorale.
La chiesa istituzionale continua a pregare ed a far pregare nelle preghiere dei fedeli delle messe domenicali perchè "il Signore susciti sante vocazioni" e non osa interrogarsi sul motivo per il quale il Signore non sembra esaudire questo desiderio quando un vescovo deve accorpare le parrocchie assegnando il servizio religioso ad un solo prete che corre come un saltamartino fra una parrocchia e l'altra e si sente, la sera, più funzionario di Dio che apostolo del Vangelo.
Grazie per l'ospitalità.
Molto cordialmente
Ernesto Miragoli
www.webalice.it/miragoli
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