Isa Thid – I miei racconti
Volava come una voce pastosa accompagnata da un flauto silvano, cercando fiori. Gli animali e le piante, persino i vermi nella terra allora ripresero il loro incessante brusio. Non sapeva nulla e non gl’importava di nulla, fuori del suo esistere. Danzava tra filigrane di tele di ragno attendendo la notte, poi il giorno, e forse ancora la notte, poi la morte. Il profumo del polline l’attraeva irresistibile da una corolla all’altra, e il sole gli accarezzava le ali.
Forse fu il destino a tendergli un tranello, o forse una musica distante, uno zufolare di vento tra le fronde. Uscì dalla radura inoltrandosi nel bosco e scorse un germoglio verde di quercia che sbucava dal terreno umido. Vi si posò sopra con delicatezza, osservò con attenzione le venature delle foglie, sentì la linfa che scorreva a fiumi e così, d’improvviso, le volle bene.
Il bosco, tutto intorno a lui, prese a fremere. Ma il dio farfalla non se ne accorse. Danzò sulle foglie della giovane quercia e vide con chiarezza che sarebbe diventata possente, molto vecchia e saggia. Sotto le sue fronde avrebbero riposato i viaggiatori, i maiali avrebbero mangiato le sue ghiande e i gufi spiccato il volo dai suoi rami, in cerca di preda. Il dio farfalla vide tutto questo ed ebbe uno spasimo di gioia e terrore lungo le ali rigide.
Sentì avvicinarsi una coppia di cerbiatti dal manto giovane e temette per il suo germoglio di quercia. Sperò intensamente che passassero oltre, invano. Allora sbatté le ali lentamente, un tuono rimbombò in cielo e i cerbiatti drizzarono le orecchie. Le loro menti, semplici e primordiali, compresero subito il desiderio del dio, grattarono un po’ di terra con lo zoccolo e corsero lontano, a cercare altrove germogli dolci di primavera.
Poi iniziò a piovere e tutto si colorò di un verde liquido. Erano molte lune che un dio farfalla non faceva scoppiare il temporale, e le lumache si affrettarono a uscire dalla terra.
L’aria si fece fredda e buia, e squarciata dai lampi, ma la giovane quercia si sentiva al sicuro. Sarebbe passato un tempo immemorabile, la sua corteccia avrebbe mostrato molte cicatrici, ma sarebbe diventata una pianta imponente. Già immaginava i rami nodosi tendersi in una danza lunga di secoli, un omaggio perpetuo a quel dio fragile che l’aveva amata.