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La resa dei conti della Fiat

Da Brunougolini
E’ una specie di resa dei conti con il mondo del lavoro. Questa volta ad alzarsi dal tavolo, a rompere la trattativa non è stata la Fiom-Cgil, ma è stata la Fiat. Che minaccia così di fuggire da Mirafiori, dall’Italia.  Un evento drammatico assunto di fronte al fatto che anche i sindacati più disposti  a concludere non se la sono sentita di avallare gli ultimatum di Marchionne. Era in gioco non solo il contratto nazionale così come era stato raggiunto (e approvato dai lavoratori nel 2008) ma anche il contratto separato del 2009.
La Fiat persegue non solo i “sacrifici” (negoziati, ma non respinti dai sindacati)  bensì l’obiettivo smisurato di un contratto tutto suo, con dentro tutti i diritti (o meglio i mancati diritti) nonché le tutele  che fanno comodo alle neo-multinazionale. Altro che deroghe.   Una scelta che se passasse trascinerebbe con sé l’intero castello delle imprese italiane. Perché altri padroni e padroncini dovrebbero rinunciare a costruirsi un contrattino fatto in casa? La stessa Confindustria, nonché la Federmeccanica, non avrebbero più ragione di esistere.
Ma perché la Fiat è in grado oggi di compiere un simile gesto? Perché, appunto, ha le fattezze di una multinazionale, non più di una “casa “torinese”. Perché il sindacato è indebolito dalla crisi e dalle divisioni, così come lo è la sinistra politica. Perché non c’è un movimento, magari “multinazionale”,  in piedi, capace di rispondere con immediata  efficacia a tanta tracotanza. Perchè c’è un governo di centrodestra che ha favorito questa “resa dei conti” che vorrebbe essere definitiva. Sarebbe necessario un sussulto e che anche questa vicenda fosse al centro di chi si affanna a trovare una soluzione al possibile “dopo Berlusconi”.  Per ottenere anche un “dopo Marchionne”, ovverosia un ritorno al rispetto della dignità di chi lavora e di sindacati chiamati a negoziare non ad ascoltare obbedendo.

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