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La Fiat persegue non solo i “sacrifici” (negoziati, ma non respinti dai sindacati) bensì l’obiettivo smisurato di un contratto tutto suo, con dentro tutti i diritti (o meglio i mancati diritti) nonché le tutele che fanno comodo alle neo-multinazionale. Altro che deroghe. Una scelta che se passasse trascinerebbe con sé l’intero castello delle imprese italiane. Perché altri padroni e padroncini dovrebbero rinunciare a costruirsi un contrattino fatto in casa? La stessa Confindustria, nonché la Federmeccanica, non avrebbero più ragione di esistere.
Ma perché la Fiat è in grado oggi di compiere un simile gesto? Perché, appunto, ha le fattezze di una multinazionale, non più di una “casa “torinese”. Perché il sindacato è indebolito dalla crisi e dalle divisioni, così come lo è la sinistra politica. Perché non c’è un movimento, magari “multinazionale”, in piedi, capace di rispondere con immediata efficacia a tanta tracotanza. Perchè c’è un governo di centrodestra che ha favorito questa “resa dei conti” che vorrebbe essere definitiva. Sarebbe necessario un sussulto e che anche questa vicenda fosse al centro di chi si affanna a trovare una soluzione al possibile “dopo Berlusconi”. Per ottenere anche un “dopo Marchionne”, ovverosia un ritorno al rispetto della dignità di chi lavora e di sindacati chiamati a negoziare non ad ascoltare obbedendo.
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