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La riforma della Costituzione: che cosa succede.

Creato il 25 ottobre 2013 da Retrò Online Magazine @retr_online
costituzione

Photo credit: Maurizio Lupi / Foter / CC BY

Esiste un Paese in cui c’è chi cambia la Costituzione, ma i cittadini (parlamentari compresi) non sanno perché. Quel Paese è l’Italia. Certo, cambiare la Carta non è facile. Non deve esserlo. Non è come fare una legge qualsiasi, o aggiungere un emendamento. Non è nemmeno come approvare un decreto legge in fretta e furia per contrastarne un altro fatto dal Governo precedente. È la Costituzione stessa a definire le modalità con cui affrontare la questione: i Padri Fondatori furono estremamente lungimiranti nel prevedere eventuali cambiamenti costituzionali. Con l’articolo 138, qualunque Governo può modificare un articolo della Carta. Con determinati iter e tempistiche. Secondo il 138, per modificare la Costituzione bisogna: approvare la modifica in Camera e Senato, con due votazioni ciascuna e con un tempo di almeno tre mesi tra l’una e l’altra; approvare la seconda votazione a maggioranza assoluta (50%+1); accettare l’ipotesi di una richiesta di referendum entro tre mesi dalla promulgazione, a meno che la legge non sia stata approvata nella seconda votazione da entrambe le camere con la maggioranza dei due terzi. Delle regole forti e stringenti. Che il Parlamento però ignora, almeno in parte, colto da frenesia improvvisa. Sì, perché preso dalla smania di deliberare sta approvando un ddl, l’813-b, che abbasserebbe il tempo che dovrebbe intercorrere tra le votazioni: da tre mesi a 45 giorni. Tra le altre cose, darebbe l’incarico a 42 “saggi” di ideare la legge per le tanto volute modifiche alla Costituzione dal Governo a larghe intese. Al Senato, con 218 voti a favore, il ddl è già passato. Maggioranza di due terzi. Se dovesse succedere anche alla Camera, il referendum non potrà essere richiesto. Quello che sta accadendo quindi è il tentativo di cambiare l’articolo che permette di cambiare la Costituzione. Per poterla modificare più in fretta. Ma quali sarebbero queste modifiche? Per ora non si conoscono. I parlamentari stanno votando al buio. Si fidano delle rassicurazioni del Governo, che è sicuro che queste modifiche aiuteranno l’Italia a uscire dal baratro economico. L’idea è che si vogliano modificare i titoli I, II, III e V della seconda parte della Costituzione. Quelli che fanno riferimento al Parlamento, al Governo, al Presidente della Repubblica, Regioni, Province e comuni. Ma c’è chi non è d’accordo. Sel e il Movimento5Stelle fanno dura opposizione in aula: “State violentando la Costituzione” attaccano i grillini “Se siete così sicuri delle vostre azioni, perché non indite un referendum per la deroga dell’articolo 138?”. A votare a favore oltre a PD e PDL è la Lega, che dice di non aver votato “per salvare il Governo Letta, ma per le riforme”. “Siamo stati coerenti con il nostro programma” ha dichiarato il capogruppo al Senato Massimo Bitonci. La maggioranza non ha votato però compatta: all’appello mancano 19 voti. Nell’aria si sente odore di Presidenzialismo. Secondo alcune voci sarebbe questa la direzione verso la quale tenderebbero le imminenti modifiche. È anche l’idea del ministro Gaetano Quagliariello, che ha presentato la relazione dove i saggi nominati da Letta auspicano un cambiamento verso il semipresidenzialismo alla francese. In ogni caso a una riforma “che conduca al governo parlamentare del primo ministro” E c’è chi si dice d’accordo, come Davide Baruffi, deputato PD della sezione di Modena, secondo il quale le modifiche sono necessarie. Sul sito del PD modenese scrive che bisogna cambiare una Costituzione “non più idonea a realizzare la sua prima parte, quella dei principi” e che è causa di un Parlamento che risulta “snaturato rispetto al disegno iniziale concepito dai Costituenti”. Per Baruffi le modifiche a questa Costituzione ‘demodè’ serviranno a diminuire il numero di parlamentari, aumentare l’efficienza del Parlamento, ridurre lo “scavalcamento delle Camere con voti di fiducia”. “Occorre dunque una sola camera dei rappresentanti dei cittadini, che approva le leggi e dà e toglie la fiducia al Governo” per “un parlamentarismo rafforzato”. Non lo sfiora l’idea di una deriva presidenzialista, alla quale il popolo italiano ha già detto no con il referendum del 2006. A ricordarla è però Ferdinando Imposimato che con un intervento sul suo sito ricorda che “noi non sappiamo quali sono le riforme, sappiamo solo che si vuole cambiare la normativa della II parte”. E subito punta il dito verso la possibilità di uno stravolgimento del ruolo del parlamento: “I cittadini e i parlamentari non sanno nulla del contenuto delle modifiche” ma “noi invece lo sappiamo: si vuole stravolgere per sempre la Costituzione con l’introduzione del Presidenzialismo o Semipresidenzialismo, riducendo i poteri del Parlamento”. Un po’ come la riforma voluta da Berlusconi nel 2003, poi bocciata in referendum, che “aumentava i poteri del Primo Ministro, (potere di revoca dei ministri, di dirigere la politica degli stessi non più coordinandola ma determinandola; di sciogliere le Camere, potere che spetta al Capo dello Stato) e fu considerata un attacco all’equilibrio dei poteri”. Tra il grande mutismo dei media e le manifestazioni in piazza che nessuno riesce a notare, l’attacco alla Costituzione è quasi pronto. Bisogna solo più aspettare il voto alla Camera. Dopo l’articolo 138 c’è un altro articolo. Il 139. Quello, però, non lo si può cambiare. Per fortuna.


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