Monti ce la sta mettendo tutta per risollevare le sorti dell'Italia, attuando misure che altri governi non avrebbero mai preso nemmeno in considerazione. Eppure gli indicatori economici continuano a raccontarci di un Paese ancora in profonda sofferenza, specialmente fra le nuove generazioni costrette a pagare le colpe di chi li ha preceduti e condannate a un futuro privo di certezze. Le statistiche che riferiscono dell'aumento della disoccupazione proprio fra i giovani si moltiplicano, infatti, con drammatica regolarità. Così come quelle relative ai cosiddetti "neet", ragazzi che oltre a non lavorare neppure studiano. E senza dimenticare il triste fenomeno della "fuga di cervelli", col quale si fa riferimento alla moltitudine di ventenni e di trentenni in possesso di elevati titoli di studio e dotati di eccellenti competenze specialistiche che però non vengono valorizzati in patria e vanno a cercar fortuna all'estero, dove quasi sempre la trovano.
Sì, perché l'Italia rimane una realtà socialmente arretrata, gerontocratica e familistica, che non lascia spazio al merito. Dove se ti chiami Renzo Bossi e non hai un briciolo di talento, puoi comunque comprare lauree false e campare di rendita a spese dei contribuenti facendoti eleggere nelle istituzioni; mentre se sei un Paolo Rossi qualsiasi, pur se capacissimo e pieno di voglia di fare, ti vengono regolarmente sbattute le porte in faccia una dopo l'altra. Per fortuna, specie fra i giovani stessi, c'è chi a questo andazzo non si rassegna e continua a lottare per un vero cambiamento. Senza cedere a facili ideologismi e correre dietro a falsi miti.
Dario Nardella, vicesindaco del Comune di Firenze, e Marco Bani, consigliere comunale a Pisa, sono i curatori del volume "Italia ce la puoi fare" (Mauro Pagliai Editore) col quale hanno inteso raccogliere, attraverso 15 brevi racconti di altrettanti giovani autori (amministratori pubblici, imprenditori, dirigenti, economisti con diverse sensibilità politiche e culturali ma tutti già affermati in campo professionale), 150 proposte concrete per superare la crisi nella quale da tempo versa il Paese.
Una sorta di grido di speranza, un appello contro il pessimismo che è stato pubblicamente apprezzato dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano - a cui si deve l'introduzione del libro stesso - per l'ispirazione fiduciosa che lo anima e con la quale vengono affrontati molti grandi temi dell'attualità politica e sociale.
"Italia ce la puoi fare" racconta l'Italia certamente con occhio critico, non oscurando gli atavici mali che l'affliggono (debito pubblico, evasione fiscale, criminalità organizzata, corruzione solo per citarne alcuni) ma senza rinunciare alla speranza nel rinnovamento che può partire solo dallo stimolo della parte più sana del Paese rappresentata appunto dai giovani. Il taglio, intrecciato con ampie sezioni saggistiche, è assolutamente narrativo dove a risaltare è il ruolo di una donna di nome Italia, ben consapevole dei propri vizi ma assolutamente determinata a far tesoro delle proprie virtù.
Il messaggio principale che ne scaturisce, accanto alla forte speranza, è in fondo quello di un sentimento di stanchezza delle nuove generazioni rispetto alla cronica litigiosità di un Paese vecchio e infantile insieme, ignorante e svogliato, senza più riferimenti certi e ripiegato su se stesso, quasi privo di ambizione. Un Paese, insomma, specchio fedele della propria classe politica e da tempo dedito a una guerra civile simulata dove tutti devono per forza schierarsi con qualcuno o con qualcosa. E dove l'interesse privato viene sistematicamente prima del bene comune.
A dispetto dei numeri, dunque, sempre foschi quando mettono a fuoco la società italiana e in particolare la condizione delle nuove generazioni, la crisi economica ha dato spunto ai giovani autori di "Italia ce la puoi fare" non per piangersi addosso una volta di più o per dare sfogo all'ennesima occasione di protesta velleitaria, bensì per prodursi in un inno al cambiamento attraverso la partecipazione diretta. Perché i giovani che ce l'hanno fatta a realizzarsi vogliono essere da esempio per quelli che invece continuano a stentare, invogliandoli a ripartire dal proprio coraggio e a non attendere più il soccorso di una società ingiusta e di una classe dirigente che ha smesso ormai da troppo tempo di fare politica con la P maiuscola.
Certamente nessuno, neanche i migliori fra i giovani stessi, può promettere un domani più roseo a chi ha perso ogni speranza. Però ognuno può e deve assumersi la responsabilità di sognare una nuova era di benessere rimboccandosi le maniche. Nel segno di quell'"ottimismo ragionevole" tanto caro al Presidente Napolitano di chi sa che per andare avanti, per uscire rafforzato da ogni cambiamento, deve mettersi in gioco fino in fondo e rischiare davvero. Basta guardare all'esperienza del governo Monti e alle sue politiche coraggiose, perseguite proprio pensando all'Italia che verrà. Quella dei giovani, quella che ce la può fare.