Non so dire se Rinus Michels avesse letto le opere che Marshall McLuhan andava scrivendo mentre lui, dall’altra parte del mondo, allenava l’Ajax. Certo è, però, che ripensando agli esiti della sua “rivoluzione calcistica” (quella del “calcio totale”, che portava alle estreme conseguenze il modulo “a zona” sperimentato dai brasiliani), sembra per davvero di rileggere, riga per riga, le considerazioni che il celebre mass-mediologo canadese andava svolgendo, in quegli stessi anni, sulle dinamiche e le sorti della nostra civiltà.
Mentre McLuhan teorizzava la fine della modernità – e, cioè, la fine dell’epoca che, in linea con lo spirito della stampa a caratteri mobili inventata da Johann Gutenberg, aveva fatto dell’individualismo la propria ragion d’essere – e l’avvento di un’Era Elettrica in cui la tendenza di fondo sarebbe stata quella verso la sintesi di elementi eterogenei, Michels relativizzava la funzione tradizionale del “ruolo” mettendo in piedi squadre in cui il singolo giocatore doveva essere pronto a svolgere più funzioni. E mentre McLuhan mostrava un mondo in cui il massimo dell’informazione coincideva col massimo della velocità – preconizzando l’avvento di Internet –, Michels faceva del “doppio fiato” e della rapidità di Cruyff e compagni l’arma che avrebbe portato il suo Ajax a vincere la Coppa dei Campioni nel 1971. Non per nulla si è parlato del tecnico olandese come del “padre del calcio moderno”.
Certo, a rivedere oggi quell’Ajax e quella nazionale olandese – che dal club di Amsterdam prendeva chiaramente le mosse nell’organizzare il proprio gioco – sembra di assistere a partite giocate al rallentatore. Ma non ci si può dimenticare del fatto che, se i quarant’anni trascorsi tra l’arrivo di Michels all’Ajax ed i nostri giorni sono stati contrassegnati da una progressiva velocizzazione e spettacolarizzazione del calcio, fondamentale è stato l’apporto del tecnico olandese, del quale allenatori come Liedholm, Sacchi e Van Gaal sono, in qualche modo, i perfezionatori.