Magazine Diario personale

la rompicoglioni

Da Gaia

Oggi ho fatto una cosa di cui sono fiera. Un vigile era entrato in un bar. Fin qui nulla di strano: i vigili sono i più grandi bohemienne della città. Sono sempre al bar o a chiacchierare per strada. Io l’ho inseguito e mentre aspettava il suo caffè gli ho detto, davanti a tutti: “ci sono cinque auto in divieto qui fuori.” Mi ha risposto che sarebbe andato a controllare appena bevuto il caffè. Ho insistito. “Sono una cittadina di questa città. Non ne posso più.” Il barista ha sottolineato che l’auto subito fuori aveva il bollino dei disabili. I commercianti di Udine: sempre a difendere le auto in divieto, sono come la certezza a cui si aggrappano nei momenti difficili. Ho visto, ho risposto, ma le altre cinque no (e poi non mi risulta che un disabile non possa parcheggiare proprio ovunque).

Spesso sfido il fiume di auto attraversando per prima sulle strisce e costringendo le macchine a inchiodare. Prima o poi ci lascerò le penne. È che se no non si fermano mai. Alcuni anche ti mandano a quel paese. Ma io dentro di me mi sento la paladina degli scolari e delle vecchiette, che prima non avevano osato e ora dietro di me timidamente seguono.

Un’altra cosa che faccio è bussare sui vetri delle auto in divieto parcheggiate sulla pista ciclabile, quando c’è qualcuno al posto di guida, ovviamente. Alle volte gli grido, passando: “questa è una pista ciclabile!” Oppure, quando qualcuno non si ferma agli attraversamenti ciclabili (di cui sono tutti spaventosamente ignoranti) gli urlo dietro. Mai insulti. Però gli urlo.

Voi direte: fatti gli affari tuoi. Ma questi sono gli affari miei. I pedoni e i ciclisti muoiono come mosche sulle strade friulane. Udine ha una mortalità pedonale il doppio della media italiana. Italiana, non svedese. Le auto in divieto non sono solo deturpanti. Sono pericolose. Se c’è un divieto di sosta c’è un motivo. Le auto in divieto oscurano la visibilità, rendendo pericoloso attraversare la strada; occupano spazi destinati ai ciclisti e ai pedoni, che non sanno più dove andare, costringono gli autobus a far scendere i passeggeri in mezzo alla strada. Inoltre, sono ingiuste, come l’evasione fiscale: gli onesti parcheggiano nei parcheggi designati, pagano e vanno a piedi; i disonesti non pagano, rendono la circolazione difficile agli altri e vanificano qualsiasi politica per la mobilità sostenibile. La pericolosità delle strade inoltre scoraggia alcune persone dall’usare la bici, creando un circolo vizioso. Io sono per la vita lenta e la riduzione degli orari di lavoro finché volete, sono anche per le pause caffè, ma non voglio più vedere vigili al bar quando la strada fuori è piena di auto in divieto.

Un’altra scenata che ho fatto è stata quando dei vigili erano stati chiamati per delle auto in divieto davanti al bar e al panificio vicino a casa mia e, eccezionalmente, erano venuti. Erano arrivati con la loro macchina e molta calma. Uno dei due aveva aperto la portiera, pian pianino, era sceso come al rallenty, si era controllato la cintura e aveva fatto finta di dimenticare qualcosa in macchina, era rientrato, insomma sembrava che avesse quasi paura del mondo là fuori. Intanto, ovviamente, gli automobilisti erano corsi a togliere le loro macchine in divieto ed era  tutto un fuggi fuggi. A quel punto non ci ho visto più e ho iniziato a gridare contro il vigile. Non è possibile, dicevo, fate sempre così! Lui mi si è avvicinato e ha balbettato, letteralmente, qualche scusa, dicendo che due minuti non si negano a nessuno e che loro non potevano sapere se qualcuno doveva far scendere un bambino… Come no: c’è l’ora dello spritz anche per i più piccoli. E poi se uno ha un bambino non ha il diritto di violare il codice della strada: scende dove è consentito e fa un pezzo a piedi come tutti. E al bambino due passi fanno pure bene.

Se avessimo un sindaco serio, le scenate ai vigili le farebbe lui. Invece pensa solo ad andare a pavoneggiarsi in Europa mentre Udine cade letteralmente a pezzi.

Pensate quanto meglio sarebbe se invece tutti facessero come me. Senza cattiveria, non tanto per fare – ma dovremmo invitare i nostri concittadini a comportarsi in maniera non pericolosa e i dipendenti pubblici a fare quello per cui vengono pagati. Rompere i coglioni è una delle principali pratiche democratiche. Io sono fiera di essere una rompicoglioni. Non insulto, non mando a fanculo, cerco di ricordarmi che siamo tutti esseri umani – ma mi faccio sentire. Io ci tengo alla mia città, anche se non se lo merita. Io ci tengo a questo mondo in cui sono nata, che è l’unico della cui esistenza sono certa. Il mio modo di proteggere questo mondo è anche di rompere i coglioni. Fare domande, pretendere risposte, dire quello che so e che penso. Arrabbiarmi se qualcuno minaccia la mia incolumità fisica. C’è chi si offende, chi si sente giudicato. Chi probabilmente farà lo stesso con me, perché spesso me lo merito. Ma va bene, purché sia giusto*. Ci vogliono meno persone incattivite e più persone rompicoglioni.

* Purtroppo al momento l’unica categoria vittima della puntigliosità altrui, a Udine, sono i ciclisti. Anche quando sono nel giusto. Soprattutto da parte dei vecchietti. È un incubo. Le auto stanno ammazzando la città e le biciclette le sentono.


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