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“La scelta di Sophie” di William Styron
Avvicinarsi a questo libro vuol dire entrare in un mondo lontano, sepolto nelle coscienze, appiattito dal dolore a tal punto da apparire accettabile e perciò superabile.Il romanzo di William Styron è difficile da definire. Parte come un memoire autobiografico, legato agli inizi di uno scrittore intrappolato in un dopo guerra (siamo alla fine degli anni quaranta a New York) che non comprende, seguito ad una guerra in cui voleva a tutti i costi entrare e per la quale è arrivato troppo tardi. Poi improvvisamente vira, senza preavviso, verso un romanzo esistenziale, andando a pungere i piccoli nervi scoperti che difendiamo in una coscienza con troppi strati.
Il testo inizia a raccontarci la storia di Sophie, affascinante e oscura polacca, trascinandoci nei campi di concentramento sorti in Polonia come funghi malati ed indistruttibili, a dimostrazione dell’orrore sistematico e razionale, così organizzato e metodicamente attuato, da diventare “noioso”. Ma non è la storia di Sophie ad essere il centro del romanzo, né il suo amore tormentato per Nathan (splendido personaggio imbevuto di genialità travolgente e umori altalenanti) o tanto meno l’amicizia confusa e apparentemente insensata con l’aspirante scrittore Stingo (sintesi autobiografica delle esperienze giovanili di Styron). Ciò che cerca l’autore, scavando nella sua memoria, nei documenti e filmati che nei decenni successivi alla fine della seconda guerra mondiale hanno iniziato a zampillare indesiderati, dagli archivi dei vari Stati coinvolti nel conflitto, è una spiegazione del male e di come soprattutto sia possibile assistervi e continuare a respirare, a desiderare. “È così semplice passare dalla sua osservazione alla sua pratica?” sembra chiedersi ininterrottamente l’autore durante le seicento pagine del libro. “Un’azione è univocamente cattiva, in qualsiasi contesto? O la morale, la religione, l’etica, sono adattive e flessibili, grazie alla possibilità dell’uomo di anestetizzare la propria coscienza?”.
Pur abbandonandosi, a volte, nell’eccessiva autoanalisi dei personaggi, nelle meravigliose divagazioni, di cui solo una mente di “scrittore” è capace, quasi volesse testare la nostra capacità di gestire parentesi che diventano struttura portante della trama, la Scelta di Sophie mi ha costretto ad entrare nelle fittissime 617 pagine dell’edizione economica Mondadori, sebbene la mia mente e la mia anima tentennassero a volte, oppresse dalla descrizione asettica e dettagliata della soluzione finale, rivelandomi che la linea che separa vittime e carnefici non è così netta come sarebbe comodo pensare. Sophie non è ebrea, ciononostante ha vissuto l’esperienza del campo di concentramento, non simpatizzava per gli ebrei, eppure ha vissuto dolore, violenze e inaccettabili privazioni. Non siamo di fronte ad un eroina che lotta per i deboli e non sopporta le ingiustizie. A Sophie piaceva essere ricca, non essere ebrea, studiare pianoforte e condurre la sua esistenza tranquilla, senza alcun interesse per ciò che accadeva in uno dei più grandi ghetti della Polonia (Cracovia) o nella casa di fronte alla sua. A Sophie piacevano gli uomini, i bei vestiti, i concerti di musica classica. Poi arriverà il momento della scelta, non di campo o di ideali, ma quella del titolo del libro, che non vi rivelo, nel caso vogliate cimentarvi con questo romanzo, ma che vi assicuro essere fin troppo concreta nella sua banale disperazione.
Piccola nota di colore: nel libro c’è una forte sottotraccia musicale, con una particolare attenzione alla musica classica del Settecento e dell’Ottocento, che scorre tutto intorno ai personaggi, sottolineando i loro stati d’animo e anticipando, soprattutto per i conoscitori del genere, le loro memorie e le loro manie.
Seconda piccola nota di colore: Ho amato Nathan e la sua follia verbale che tentava, disperata, di concretizzare un mondo dalle troppe sfumature e passioni, un mondo che spaventa, un mondo che non si può smettere di guardare. Di Sophie ho avuto paura e rispetto, sapendo che sarei diventato per lei un devoto ascoltatore, come Stingo, incapace di adorarla come avrei voluto. Ho litigato con Stingo: pomposo, superbo, sprezzante, talentuoso. Spesso durante la mia lettura l’avrei voluto picchiare, implorandolo di stare un po’ zitto. Ma ne avrei sentito la mancanza, la sento già.
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