La schiava

Da Galadriel
[La storia antica decima parte]
......... fino a fondersi in un sublime legame che li avrebbe uniti per sempre!
La sudrha amava Lelay e ne soffriva la mancanza. Non aveva il potere di scegliere dove stare, la sua casta le imponeva di obbedire. Come poteva fare per tornare nella casa di donna Leo, quali erano le mosse che avrebbe potuto mettere in atto per raggiungere il suo amato? Non era molto quello che era in suo potere fare, ma qualcosa voleva fare. Intanto aveva iniziato a disobbedire, anche se le costava essere battuta a lei non importava. Aveva deciso di rendersi sgradevole al punto d'essere restituita. Spesso si lasciava scivolare dalle mani picole oggetti di cristallo ai quali la signora, amica di Donna Leo, teneva molto. Le urlava contro e la batteva, ma la schiava era decisa a farsi cacciare: avrebbe fatto tutto sbagliato.
Quando si ritirava nella sua stanzetta, dopo una giornata di duro lavoro, toglieva dalla scatola che lo custodiva, il suo Sitar. L'unico momento di intimità con se stessa e i suoi ricordi, lo passava con lo strumento in grembo. Il padre le aveva insegnato a suonare quando era ancora piccolina. Destinata alla vendita, sicuramente sarebbe stata merce per bordelli. Il padre sapeva la fine che avrebbe fatto la figlia e per renderle meno amaro la vita di bordello, le aveva insegnato a suonare il Sitar.
Suonava melodie strazianti e le accompagnava con un filo di voce. Cantava la sua passione, la sua infelicità lontana dal suo amore, e il suo corpo vibrava all'unisono con lo strumento.
Quella vibrazione le accendeva il desiderio di stare fra le braccia di Lelay, mentre lui la baciava e la strigeva. Ricordava il suo corpo sopra di sè, il suo alito che le riempiva le narici, la sua bocca che sapeva di frutto, il suo vigore che premeva al suo linguine. Avrebbe voluto sussurrare al suo orecchio mentre abbracciata a lui gemeva di piacere:
"Ti amo mio re! Ti amo così tanto che mi faccio schiava anche del tuo cuore. Ti amo così tanto che non vivo lontano da te. Ti amo così tanto che, per il resto della mia vita, canterò inni al tuo cuore."
Al ricordo di lui, il corpo della schiava, era invaso di fremiti e istintivamente portava le mani all'inguine proprio dove avvertiva un fuoco divampante dalle alte fiamme che lambivano ora il plesso, contraendo l'addome in uno spasmo, ora il cuore riscaldandolo d'amore. Non sapeva resistere al fremito del pistillo turgido che sentiva al centro della sua orchidea, e le sue dita si muovevano per iniziare lo spasmo che piano piano la portava al piacevole senso in crescendo, un fuoco che le saliva dall'interno per culminare in un'esplosione di piacere. Continuava a toccare fino all'ultima scossa e si lasciava cullare dal torpore che le a
veva invaso tutto il ventre, mentre il cuore pulsava veloce al ricordo piacevole dell'amore. Con la mente al suo re e il corpo rilassato, si addormentava sul giaciglio di stuoie avvolta nel suo sari.

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