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La sfida latinoamericana per l’uguaglianza e la cooperazione con l’Europa

Creato il 06 novembre 2014 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
La sfida latinoamericana per l’uguaglianza e la cooperazione con l’Europa

Parole di Alicia Bárcena, Segretaria Esecutiva della Commissione Economica per l’America Latina ed i Caraibi (CEPAL), in occasione della conferenza magistrale “L’Italia e l’Europa, dopo le ultime elezioni europee: verso un nuovo partenariato con l’America Latina”, tenuta da Federica Mogherini, Ministro degli Esteri Italiano.

 
A voi tutti un caloroso benvenuto nella casa delle Nazioni Unite in America Latina e Caraibi.

Ministro Federica Mogherini, grazie di onorare questa tribuna con la voce dell’Italia, paese che sta emergendo da tempi duri, ma che sta anche seminando speranza verso il futuro. Quasi un mese fa, esattamente il 2 luglio scorso, il ministro irrompeva in un’altra sala, quella del Parlamento Europeo in seduta plenaria, a fianco di chi assumeva quel giorno la presidenza semestrale del Consiglio d’Europa, il capo del governo italiano, Matteo Renzi.

Insieme a lui ha assistito a una delle sessioni più memorabili di Strasburgo. La singolare opportunità nella quale l’Italia, con coraggio e orgoglio, si è inserita nel dibattito europeo con una leadership fresca e dinamica, rivendicando il recupero dell’anima comune, sfidando le inerzie e convocando i suoi pari a dare impulso alla crescita dopo tanta energia investita nella stabilità attraverso la via del rigore.

Caro ministro, benvenuta in questa regione, in questa patria comune che riconosce l’origine di molte delle sue radici in semi italiani. Benvenuta nei luoghi che attraversò Garibaldi, eroe dei due continenti. Benvenuta nella casa di tante e tanti italiani che migrarono in queste terre per alimentare qui i loro sogni di prosperità e che portarono nelle loro valige le ricche tradizioni culturali, storiche e sociali della penisola.

Siamo certi del fatto che esiste una forte complementarietà nella relazione tra l’Unione Europea e l’America Latina e i Caraibi, così come esiste un grande potenziale per costruire e rafforzare un’alleanza utile per i loro popoli. L’Unione Europea continua ad essere il principale cooperante, il maggior investitore diretto e il secondo socio commerciale dell’America Latina e dei Caraibi. La presenza europea è stata chiave nelle diverse tappe della storia del nostro continente. È a partire dagli anni ’70 e ’80 del secolo scorso che le politiche e i modelli di sviluppo economico e sociale di entrambe le regioni hanno cominciato a cercare più complementarietà.

L’Unione Europea si è trasformata nella principale fonte di investimento diretto all’estero (IDE) per l’America Latina e i Caraibi e questi si sono trasformati nella principale destinazione degli investimenti europei diretti a economie emergenti. Il maggior investimento produttivo e il maggior trasferimento tecnologico e di politiche ambientali e lavorative con creazione di impiego sono state le caratteristiche di più di un decennio di investimenti europei.

Recentemente si è prodotta una stagnazione nella relazione. La domanda europea che ha perso forza, il riposizionamento della Cina, l’incorporazione dei nuovi Stati membri all’Unione Europea, la crescente rilevanza del Medio Oriente e dell’Africa Settentrionale nell’agenda estera europea, l’acuta crisi finanziaria che ha colpito questa regione sono stati fattori che hanno influito. Ma per diverse imprese europee il mercato latinoamericano è stato un’importante fonte di guadagno, soprattutto durante periodi nei quali i loro mercati locali crescevano lentamente. Da parte loro, l’America Latina e i Caraibi costituiscono una delle principali fonti di risorse strategiche del mondo, già che possiedono democrazie stabili, hanno ottenuto progressi nell’integrazione regionale e registrano una crescita economica nella complessa congiuntura attuale, e ciò favorisce il loro posizionamento internazionale.

Uno stato d’animo differente interessa attualmente l’America Latina e i Caraibi, nonostante le turbolenze dell’economia mondiale. Senza dubbio, abbiamo appreso dal passato e stiamo sperimentando nuovi cammini. Negli ultimi 30 anni abbiamo appreso ad essere prudenti nel macroeconomico e progressisti nel sociale, applicando misure anticicliche diverse, da moderate e transitorie fino a strutturali, che hanno evitato, soprattutto nell’ultimo decennio, costi sociali irreversibili. Vale la pena sottolineare che l’economia della nostra regione avrà nel 2014 una crescita del 2,2%, con aspettative ancora più incoraggianti per il 2015. Continuano ad essere attività importanti un’inflazione controllata, solide politiche fiscali, un debito pubblico minore e meglio strutturato (sotto il 32% del PIL) e un livello inedito di riserve internazionali (circa 850.000 milioni di dollari).

Inoltre, negli ultimi decenni, grazie all’azione decisa dei suoi Stati, questa regione ha visto diminuire il numero di persone che vivevano in povertà, dal 48% (1990) al 27% (2013). Nello stesso periodo la povertà estrema o indigenza è diminuita di più di 11 punti percentuali, passando dal 22,6% al 11,4% della popolazione. Il lavoro è aumentato in quantità ed è migliorato nella qualità. Oggi il tasso di disoccupazione è inferiore a quello che avevamo prima della crisi (6,2%).

Nonostante ciò, senza danneggiare questo stato d’animo positivo, l’attuale congiuntura ci invita anche a mantenere cautela, anche se sempre con la convinzione del fatto che la nostra regione è meglio preparata per dar continuità ai risultati e rompere con le vecchie strutture che ci legano ad un passato di acuti paradossi. Continuiamo ad essere la regione più diseguale del mondo, e ciò ci indica che non solo nel sociale si determina il sociale. Le politiche sociali non bastano per abbattere definitivamente la povertà e chiudere le enormi differenze che persistono tra i settori più ricchi e i più poveri della società. Ancora 167 milioni di persone vivono nella povertà, dei quali 66 milioni sono indigenti. Inoltre, una percentuale significativa della popolazione vive ai limiti della linea di povertà ed è vulnerabile a ricadervi, sia per scontri esterni che per catastrofi familiari o perdita di fonti di entrata primaria. Esistono inoltre profonde differenze tra il decile più ricco e il più povero.

Perciò la CEPAL propone oggi un cambiamento strutturale per l’uguaglianza. Mettere l’uguaglianza al centro implica una rottura con il paradigma economico che ha prevalso negli ultimi tre decenni. Questo cambiamento si sincronizza con la mole di richieste trascurate della cittadinanza che hanno portato a ricomporre la mappa politica e a porre enfasi sulle politiche centrate sui diritti, con una vocazione più universalista. Parlare di uguaglianza implica diffondere in tutta la struttura produttiva e il tessuto sociale lo sviluppo di capacità, il progresso tecnico, piene opportunità lavorative e l’accesso universale alla protezione sociale. Il lavoro con diritti è la via maestra per superare la diseguaglianza e chiudere ferite con uno sguardo trasversale in quanto a equità di genere, etnica e razziale.

Il contesto nel quale viviamo è frutto del fatto che molti paesi – sfidando l’ortodossia – hanno implementato in modo consistente politiche di cambiamento strutturale che hanno permesso loro di reinserirsi – economicamente e politicamente – nel sistema internazionale. Per ciò la CEPAL ha formulato una proposta e una scommessa che si basano sul cambiamento strutturale per l’uguaglianza. Questo implica portare a termine trasformazioni qualitative nella struttura produttiva dei paesi della regione, con il fine di rafforzare settori ad alta intensità di conoscenza e di rapida crescita della domanda interna ed estera, per generare così guadagni in produttività con più e migliori posti di lavoro.

Proponiamo una strategia affinché la regione esca dalle strutture produttive centrate in vantaggi comparati statici e progredisca verso vantaggi comparati dinamici, con maggior intensità di conoscenza e con un progresso tecnico. La CEPAL insiste sulla necessità del cambiamento strutturale per generare traiettorie di apprendimento, maggior diversificazione e presenza nei mercati di più rapida crescita. Senza dimenticare l’importanza di poter contare su una grande dotazione di risorse naturali, è chiaro che sono i vantaggi dinamici quelli che sostengono la crescita nel lungo periodo, e questi dipendono dall’innovazione e dalla conoscenza.

La struttura produttiva non solo deve essere a più alta intensità di conoscenza e innovazione, ma deve anche rispondere agli obiettivi di sostenibilità sociale e ambientale. Come l’intensità del progresso tecnico, interessano molto anche la sua direzione, i suoi contenuti, le traiettorie di sostenibilità che si aprono verso il futuro. Si tratta di porre strumenti – come le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, i nuovi materiali, la biotecnologia e la nanotecnologia – al servizio del cambiamento strutturale.

È evidente che l’investimento è una delle principali variabili che compromettono il cambiamento strutturale e il progresso tecnico. È il ponte tra il lungo termine e il breve termine, che è dato dall’investimento. Le politiche di stabilizzazione che riducono l’investimento pubblico a breve termine per contenere il deficit fiscale, o che permettono la valorizzazione del cambiamento per evitare l’inflazione, hanno effetti sulla competitività e la struttura produttiva che vanno molto più in là del breve termine.

L’America Latina e i Caraibi hanno bisogno di un cambio strutturale con sostenibilità ambientale, che solo sarà possibile se si ottiene un salto scientifico e tecnologico profondo e ampio. È necessario ridefinire la denominata economia dell’offerta (supply side economics) a partire da una visione che considera l’impatto della struttura produttiva sui livelli di emissione e sulle altre variabili di sostenibilità ambientale, così come l’inclusione del sistema produttivo e di consumo di settori che hanno beneficiato solo marginalmente della crescita.

In un contesto democratico sforzi in questa direzione equivalgono a costruire accordi intorno a questi progetti, accordi che definiscono le regole del gioco, gli obiettivi e l’insieme dei benefici e dei costi che ogni attore dovrà affrontare per muoversi verso un equilibrio che unisca efficienza e uguaglianza.

Anche la sfida del cambiamento climatico, i cui effetti negativi si fanno ogni giorno più visibili, pone domande urgenti. Si è fatto poco, al di là delle dichiarazioni. C’è ampio spazio perché Europa e America Latina e Caraibi perfezionino la cooperazione, non solo negli investimenti e nel trasferimento di tecnologie verdi, ma anche in termini di politica per promuovere un’azione globale coordinata. Non c’è dubbio che il Sud non è più lo stesso e che anche l’America Latina e i Caraibi sono maturati nella loro responsabilità globale.

Questo significa anche assumere nuove sfide; per esempio procedere con accordi regionali unificati e in collaborazione con altre zone in via di sviluppo; accordi che permettano di affrontare sfide globali di grande importanza come il cambiamento climatico che sollecita la nostra regione, come tutto il mondo, a ideare strategie per sviluppare economie a basso contenuto di carbonio e con maggior efficienza nell’uso dell’energia, con capacità di raggiungere la sicurezza alimentare, la sicurezza cittadina e la sicurezza climatica.

Durante l’ultimo decennio la nostra regione registra una crescita nella creazione di nuove organizzazioni per promuovere l’integrazione e la cooperazione. Esse sono un passo in più verso il raggiungimento di uno dei sogni più accarezzati dalla CEPAL: l’integrazione regionale. Perciò, la Commissione collabora strettamente con i nuovi meccanismi regionali, come la Comunità di Stati Latinoamericani e dei Caraibi (CELAC), l’Unione delle Nazioni Sudamericane (UNASUR) e l’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America (ALBA), e cerca di rafforzare la cooperazione con i tradizionali meccanismi di integrazione regionale e subregionale, come, tra gli altri, la Comunità Caraibica (CARICOM), l’Associazione Latinoamericana di Integrazione (ALADI), il MERCOSUR e il Sistema dell’Integrazione Centroamericana (SICA).

Che tipo di investimento europeo è benvenuto in America Latina? Certamente quello che promuove la creazione di capacità e la trasformazione produttiva della regione.

Un’associazione più profonda tra America Latina e Unione Europea permetterebbe alla nostra regione di accelerare la sua crescita economica, avanzare nel cambiamento strutturale verso settori a più alta intensità di conoscenza, ridurre la povertà, aumentare l’inclusione sociale e proteggere l’ambiente. Questo si raggiungerebbe con l’approfondimento di accordi commerciali che aprano spazio per gli investimenti, soprattutto in nuove attività ad alta intensità di conoscenza e lavoro di qualità; con lo stimolo alla creazione di piccole imprese, generando lavori in rete e catene mondiali di valore; con l’impulso all’innovazione e alla massificazione delle nuove tecnologie, in particolare quelle dell’informazione e della comunicazione (TIC); con lo stimolo a investimenti in tecnologie di mitigazione del cambiamento climatico, fronteggiando le esternalità negative della crescita economica; con l’aumento dell’uso di energie innocue per l’ambiente e con la diversificazione della matrice energetica con fonti rinnovabili non convenzionali, approfittando della leadership delle imprese europee in questo ambito per avanzare verso un’economia verde. L’Unione Europea si vedrà anche favorita in dimensioni chiave per il suo benessere economico e sociale, con un chiaro impatto sulla generazione di posti di lavoro.

In sintesi, l’Unione Europea e l’America Latina e i Caraibi sono alleati naturali che condividono storia, cultura e valori e ciò permette loro di posizionarsi insieme di fronte alle attuali sfide mondiali e accelerare lo sviluppo economico di entrambe le regioni in maniera sostenibile.

Sono convinta che la nuova leadership italiana dell’Unione Europea ci possa offrire lumi sulla congiuntura attuale, così come sul nuovo contesto che mette in difficoltà e fissa nuove urgenze ai governi. Ma, soprattutto, ci servirà per pensare insieme al futuro dell’Europa, alle prospettive dell’America Latina e dei Caraibi e alle possibilità reali di aprire spazi nuovi di interazione. Ma le aspettative di una relazione più profonda sono miste. Ci sono infatti purtroppo ancora più interrogativi che proposte concrete. È chiara a tutti l’importanza dell’attuale congiuntura per il futuro delle relazioni bilaterali. Forse sarà un’opportunità per trovare maggiore complementarietà, vincendo vecchie asimmetrie storiche, commerciali e sociali e avanzare verso una relazione più equilibrata e equa.

Permangono certe perplessità in questa regione, perché fino a poco tempo fa l’Unione Europea veniva percepita come una regione progressista, che offriva un forte rispetto dello sviluppo e della cooperazione. Una regione impegnata nell’integrazione economica, con la protezione sociale di vocazione universalista, con la protezione dell’ambiente e lo sviluppo sostenibile e con il multilateralismo. Tutto ciò orientato verso la costruzione di uno Stato del benessere, egualitario e produttivo.

Ci sono esempi fuori e dentro della regione che danno motivo per essere ottimisti in quanto alla possibilità di muoversi verso una maggiore efficienza e una maggior uguaglianza. Le società possono votare e servirsi di strumenti per raggiungere gli obiettivi che si sono dati. Su questo cammino si trovano l’America Latina e i Caraibi, ispirati, molte volte, al cammino che fece l’Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale e persuasi del fatto che presto potranno trovare soluzioni costruttive per le loro difficoltà attuali.

Cara ministro, a Strasburgo il premier Renzi chiudeva un vibrante discorso affermando “Siamo la generazione Telemaco”. Ci ricordava, con un’allusione all’Odissea di Omero, che questi aveva posto al centro del racconto Ulisse, con le sue avventure e disavventure, ma aveva lasciato nell’ombra suo figlio Telemaco, che incarnerebbe la sfida di meritare l’eredità del padre. Con ciò Renzi alludeva ai padri che crearono l’Europa contemporanea e soprattutto al ruolo della generazione attuale, che Lei rappresenta, rispetto alla necessaria rinnovazione della leadership europea recuperando l’anima del progetto collettivo di una società inclusiva. Perciò è per noi motivo di orgoglio servire come tribuna per le sue riflessioni di fronte alla nostra regione.

L’attuale situazione dell’Europa è complessa. L’Europa e l’Italia devono affrontare conflitti sociali e economici: dai complessi effetti della crisi in Libia, nelle sue frontiere meridionali del Mediterraneo, fino all’impatto dello scontro tra Israele e il popolo palestinese, al costo terribile di migliaia di vite civili, nelle sue frontiere dell’est, un fronte dove si vive il dramma della guerra scoppiata in Siria, la forte tensione in Libano, la delicata situazione in Iraq.

Se a questo sommiamo la crescente pressione migratoria e il conflitto intraeuropeo che ha luogo in Ucraina, è chiaro che risulta urgente recuperare una leadership politica che aiuti costruttivamente, accoppiando il meglio della tradizione europea, a stabilire nuove regole di equilibrio globali d’accordo con la realtà del secolo XXI. Leadership che permetta di far tacere i fucili. Leadership che, con coraggio e realismo, ma anche con volontà e determinazione, costruisca strade percorribili per la pace e la giustizia.

Mi permetta di chiudere questo intervento evocando le parole di un gigante della sua patria, Giuseppe Mazzini. Parole articolate quasi un secolo e mezzo fa e che, nonostante tutto, resistono con pieno vigore al passare del tempo e ci animano a sostenere con più forza le convinzioni essenziali che spingono le nostre faccende di oggi e di domani.

Diceva Mazzini redigendo il manifesto della giovane Europa: “L’uguaglianza esige che diritti e doveri siano uniformi per tutti; che nessuno possa sottrarsi all’azione della legge che la definisce; che ogni persona partecipi, con il suo lavoro, al godimento dei prodotti che sono il risultato di tutte le forze sociali poste in attività. Tutti i privilegi sono una violazione dell’uguaglianza. Ogni arbitrarietà è una violazione della libertà. Ogni atto di egoismo è una violazione della fraternità”.

Con questa riflessione, signora ministro, le cedo la parola.

(Traduzione dallo spagnolo di Arianna Plebani)


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