Ci voleva un politico che non provenisse dalla storia comunista e nemmeno socialista, perché il Partito democratico facesse il suo ingresso nel Partito del Socialismo europeo (che, per l'occasione, ha aggiunto all'acronimo Pse la locuzione: "socialisti e democratici"). L'ingresso del Pd, formalizzato nel congresso di Roma tenutosi ieri, è stato preceduto da una nuova edizione del noto saggio di Norberto Bobbio, "Destra e Sinistra" (Donzelli, 1^ edizione, 1994), in cui si può leggere un contributo di Matteo Renzi. Alla distinzione fondamentale tracciata da Bobbio tra destra e sinistra, basata sull'asse disuguaglianza-uguaglianza, Renzi aggiunge quelle tra innovazione e conservazione e movimento-stagnazione. La ragione del cambiamento di paradigma, secondo Renzi, risiede nel fatto che un secolo, quello basato sulla società divisa in classi definite dalla centralità della fabbrica "fordista", è alle nostre spalle, e che una sinistra degna di questo nome debba rivolgere la propria attenzione a quella parte della società, definita un po' genericamente, dei "nuovi ultimi" e dei "nuovi esclusi". Il riferimento che Renzi non ha fatto nel saggio, ma che si può ricostruire dalle sue precedenti posizioni, è all'estensione della tutela che la sinistra dovrebbe operare verso settori della società - quali disoccupati, precari, giovani in cerca di prima occupazione - fin ora messi in secondo piano a vantaggio, secondo questa visione, degli "occupati" (gli occupati sarebbero i "garantiti", contrapposti a chi un lavoro non ce l'ha, o se ce l'ha è precario - i "non garantiti").
Secondo me, se è vero che la politica della sinistra debba aggiornarsi ai nuovi contesti sociali, è anche vero che contrapporre chi ha un lavoro a chi non ce l'ha, significa considerare le politiche per il lavoro e per i diritti come un gioco "a somma zero" (quando non scambiare lavoro con meno garanzie), mentre un partito che si definisce di sinistra deve (dovrebbe) caratterizzarsi perché lavoro e diritti vengano estesi a tutti.