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“La spiaggia dei cani romantici”

Creato il 03 marzo 2011 da Fabry2010

“La spiaggia dei cani romantici”

Recensione di Alberto Pezzini

Chissà se Belén Rodriguez sa di un romanzo che potrebbe fare al caso suo. Nel senso che contiene una storia esattamente contraria rispetto alla sua esistenza ed a quanto conquistato in Italia.
Parliamo de La spiaggia dei cani romantici (Instar libri, pagg. 233, euro 14,00), l’ultimo romanzo di Marino Magliani. Qualcuno lo ha già voluto definire il suo romanzo più bello. Forse è quello dove Magliani – onestamente – prende le distanze da se stesso anche se non ci riesce del tutto. Una terra come la Liguria fa fatica a tramontare dentro. Comunque.
Il titolo poetico, che sa di mare dove si fa l’amore, arriva da un libro di poesie di Bolaño, Los perros románticos, lo scrittore de I detective selvaggi, uno degli autori più calcinati di poesia al mondo che Magliani ha tradotto l’inverno scorso.
La traduzione è come un’incudine, diceva Bolaño, e ti resta addosso se ciò che si traduce vale davvero. Addosso a Magliani è rimasta una lingua nuova, elettrica, (un po’ come il lunfardo, quel gergo nato a Buenos Aires ed impastato di italiano e spagnolo), e una storia solida, riconoscibile.
Il lettore non è più spaesato dentro un intrico di facce, ma sente una voce unica, quella trafitta da un raggio d’ombra del protagonista Almeja.
Almeja ha fatto la guerra alle Malvinas, il conflitto quasi tutto navale tra Argentina e Gran Bretagna. Vuole fare il calciatore. Ha origini liguri, e una fidanzata che chiama negra. In Argentina, a Lincoln, non si batte chiodo e l’orizzonte è come il futuro: sembra piombo fuso e non dà più carte.
Almeja parte e va in Liguria perché magari trova una squadra de fútbol. La negra lo molla subito – incolpandolo come tutte le donne quando lasciano – per un suo cugino più vecchio ben munito di beni al sole, e lui non riesce neanche a farsi rilasciare un passaporto italiano per giocare a pallone. Di lì il romanzo parte. L’argentino – ex militare ed ex fidanzato – segue il richiamo di Lloret de Mar, il mitico luogo dei chicos piola, i ragazzi all’occhio, quelli giusti che impalmano le donne. Si traduce cool, oggi.
Almeja va lì, dove i chicos rimorchiano femmine nordiche in maniera da farci uscire anche la stagione. Vestiti da ‘guapi’,”i riccioli neri e spettinati e quegli occhi ribaldi, gli stivaletti ricamati, i calzoni sgualciti, le magliette nere…:è L. L., col solare, maliardo sorriso mediterraneo” ( Se volete sapere chi è andatevi a leggere Per favore non chiamatemi poeta, Corriere della Sera 23 settembre 1997 a firma Fernanda Pivano). Ce li descrive così, Magliani, come quel cantante descritto dalla Nanda, amica di poeti e di musicisti che hanno saputo l’alba.
Le donne nordiche vengono fotografate non proprio in modo politically correct, ma dal vivo. Nel senso che sono merce da scopata, un sesso inutile veramente perché loro non contano, come avrebbe detto Oriana Fallaci in un suo libro rivelatorio sull’emisfero femminile.
Una giornalista olandese – trent’anni dopo – va alla ricerca di quei ragazzi che “impalmavano” le nordiche. Sta montando su un format dove le vecchie glorie nordiche hanno fame di rivedere i loro amanti di una notte o di una settimana al mare. Un format mica tanto strano, se ci pensate.
Almeja è l’uomo che darà poi un colpo d’anca vera alla storia, anche perché Magliani carica la sorpresa nell’angolo sempre più inclinato, quello dove l’ombra tradisce.
L’altro aspetto che inquieta sono le morti di molti inglesi – quasi tutti ex soldati – e questa è ancora un’altra storia dentro il libro che fa paura, a pensare a quanta ombra e invisibilità ogni guerra si porta dietro senza che manco ce ne accorgiamo.
La spiaggia è da romanzo beat, perché è la cartolina di una generazione, vera, vitale, che scopava le donne e gli rubava le collanine all’alba, quando il sesso le aveva perdute spacciandosi per amore. E’ anche un tentativo di abbandonare le storie di Liguria e scegliere un registro umano più lontano del solito mare di casa. Magliani ha scavato dentro i suoi ricordi e ha tirato fuori quello che succedeva in Liguria durante gli anni ’80, quando si partiva per Lloret de Mar, dove lavorare nelle discoteche voleva dire sesso certo in quanto nordico. Ha dato un taglio a certe complicanze sentimentali soltanto liguri, e ne è nato un libro che sa dar conto della vita com’era all’epoca in quel mare di Spagna. Un’atmosfera nuova, precisa, descritta senza imbrogli e senza complicazioni. Nei suoi libri precedenti Magliani si era complicato la vita con il sentimento. La Liguria – per lui che vive oggi in Olanda – era diventata un bagaglio quasi inospitale. Fuggire con il ricordo in Spagna ha segnato un modo per dimagrire. Il libro è nervoso, ha un andamento da chicos piola, scarta a destra e manca, ha ritmo nel sangue e scarpe ai piedi per andare lontano. Fa morire, sapete.
Magliani resta prigioniero della malinconia. La fine del libro – che si agogna – non risolve la storia, anzi la lascia sospesa, aperta come certe soluzioni matematiche dove la vera soluzione è l’infinito. Questo è un abito, un costume di vita, che ormai nessuno gli toglie di dosso. Meglio la malinconia che la tristezza. Ha aspettato tanti anni per scattare una fotografia di quegli anni a Lloret de Mar dove la sabbia a grani grossi non ti si attaccava mai addosso, neanche quando eri bagnato. Ai fotografi non si rimprovera mai il chiaroscuro, perché è considerato un tocco d’artista.
Almeja è molto più sfortunato di Belén. Non ha successo, non è famoso e deve addirittura diventare un nulla, anzi deve morire per vivere. In questo lavoro al contrario sta la malinconia organica di un romanziere che ha scelto di autodistruggersi per rinascere. In questa in – fine costante sta la dimensione narrativa di Marino Magliani:”Finisce con un uomo solo che rimane in piedi… Vale a dire, non finisce mai”. Chissà se lo sa, Magliani, che Bolano diceva così di Ellroy.



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