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La storia è un’anguilla

Da Marcofre

Se si deve correggere, per quante volte bisogna farlo? Buona domanda. Una risposta diretta non credo che sia possibile però, tuttavia non è folle cercare di arrivarci per via un po’ traverse, diciamo.

Una storia, non importa la sua lunghezza, dovrebbe sempre comunicare (e fino a qui direi che ci siamo), ma comunicare bellezza. E a questo punto già cominciano i problemi, perché per molti non esiste una definizione di bellezza.

Si confonde cioè il gusto personale (“Non mi piace”), con la bellezza. Non è affatto la stessa cosa, e qui potrebbe partire un numero infinito di post, ma non è mia intenzione farlo. Non sono così bravo, e soprattutto, è al di là delle mie forze e capacità

Tuttavia.

La bellezza non è qualcosa di astratto, poiché noi non siamo “astratti”. Se un quadro ci colpisce è perché attraverso i sensi arriva a noi. Ci colpisce. La bellezza ha questo di bizzarro: ti tira una mazzata in testa, ti volti e non c’è nessuno. I bravi autori (Dostoevskij, Tolstoj, Cormac McCarthy) ti colpiscono. Non è affatto detto che scrivano di cose belle anzi.

“La morte di Ivan Ilic” è bella? No. È bellezza? Sì. Per quale ragione?

Come è riuscito quel satanasso di Tolstoj a scrivere qualcosa di tanto prezioso?

Probabilmente, è riuscito nell’impresa perché ha sorvegliato tantissimo la sua scrittura. Ha lavorato duro per fare in modo che il tema di quel racconto, restasse sottochiave, sotto il suo controllo quindi. La storia è un’anguilla, e le piace sgusciarci via dalle mani. Quando accade, non si riesce a colpire il bersaglio; si scrive una storia, si capisce, magari pure gradevole, perché no. Non c’è nulla di male vero?

La correzione non è (solo) la pratica di eliminare ripetizioni, errori, refusi… È il processo grazie al quale la storia assume una profondità e un’ampiezza maggiori.


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