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"La strada per Los Angeles" di J. Fante

Creato il 04 settembre 2011 da Bens
Arturo. 
Alla fine ho ritrovato il rossetto. Quello color corallo, quello che non ti piaceva. Quello che indossai il giorno che ti venni a prendere al conservatorifico. Mi disegnava sfacciatamente i contorni della bocca, rimpolpando la carne delle labbra. Ti aspettavo immobile quel giorno, il vento arrapato che si insinuava sotto la gonna dell'abito di chiffon bianco che indossavo, il sole caldo che, volgare, mi consegnava a lacrime di mascara e il sudore impietoso che riluceva sulle mie tempie. 
Ti avvicinasti a me. Inclinasti leggermente il busto in avanti, sussurrandomi:"Piccola Ragazza, guardati, sembri una puttana". Rimanemmo in quella posizione per qualche secondo. Tagliati dal tempo. Poi tu avvicinasti la bocca al mio orecchio, per leccar via la bilePensavo di averlo gettato via, quel rossetto. 
Eri stanco il giorno in cui mi portasti a Venice. "Berremo whisky, ne berremo tanto da dimenticare come si cammina, Piccola Ragazza, ne berrò tanto da liberarmi della penna". Aspettai invisibile in un angolo del negozio, mentre tu, gonfio in petto di superomismo, scegliesti il whisky più economico. 
A nessuno dei due piaceva il whisky. 
Ci sedemmo sulla spiaggia mentre a turno ci attaccavamo famelici al collo della bottiglia, come a voler divorare il vetro, l'etichettà, le restrizioni. Tracannavi alcol accompagnando ogni sorso ad un'orribile smorfia del volto. Le gambe erano pesanti. Le mie gambe, e la testa girava e gli occhi facevano acrobazie. Mi accasciai stanca sulla sabbia, la tua voce lontana mi sfiorava appena. Poi mi afferrasti per i capelli, alzandomi la testa. Portasti la bottiglia alla mia bocca, serrata. La apristi a forza, con le dita, versandomi il whisky in gola, lasciando che ne sfuggisse un po', bagnandomi il collo, il seno.  
Credo ci fosse un limite oltre il quale tu non potessi sopportare il male cui eri condannato. E lo delegavi a me. Il tuo ricettacolo di brutti ricordi, la pattumiera dei tuoi insuccessi. 
Non mi importava che puzzassi di pesce. Ti presi le mani quella sera, erano unte, sotto le unghie c'era il grasso, un dito era fasciato. Ti presi le mani e me le portai sul volto, lasciando che mi accarezzassero, ruvide e sporche. Le tue mani abbandonate nelle mie, sfioravano guance, capelli, collo, cospargendomi del tuo fetore. "Piantala", e le ritirasti indietro. Eravamo solo noi due al mondo. Puzzavamo entrambi adesso, ecco che la puzza si trasforma in odore. 
Poi te ne andasti. Abbandonandomi. 
"Non piangere, sembri stupida". Vai Arturo, vai a conquistare il tuo posto nel mondo, e scrivi, Arturo, ma fallo per te. Tu non sei una puttana. E se ti venisse in mente di scrivere di me, non farlo. Sono solo una piccola ragazza.

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