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La sveglia al collo

Creato il 07 settembre 2011 da Laperonza

 

I

La Bottega

 

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   Come se fosse caduto dal cielo e si fosse spiaccicato sulla cima di un colle dritto come un panettone, guardando il mare da lontano con disinteresse, immerso nei colorati rettangoli irregolari dei campi coltivati marchigiani sta Monte San Girolamo. Sta in senso statico, del tutto immobile da tempo immemorabile, con le sue ottocento e passa anime prossime al trapasso (l’età media è sopra i settanta) che, una volta esaurite, lasceranno le costruzioni di mattone a sgretolarsi al vento ed il paese ad appiattirsi definitivamente contro la collina su cui qualcuno lo tirò tempo addietro.

   Una volta qui si fabbricavano cesti e vimini e cappelli di paglia. Poi, gradualmente, il lavoro ha iniziato a mancare (chi mai porta cappelli di paglia oggi?). I più giovani si sono spostati a valle verso occupazioni più moderne e tecnologiche e sulla collina sono rimasti solo i vecchi ad attendere l’ineluttabile fine e a godersi – si fa per dire – una pensione da fame da artigiani o coltivatori diretti. Un dedalo di strette viuzze lastricate si snoda in cerchi concentrici a discendere il pendio sulla cui sommità è la piazza principale (e unica). Se di piazza si può parlare visto che non è altro che una strada un po’ più larga delle altre.

   In un vicolo proprio sotto la piazza, in un seminterrato della chiesa dei Santi Cirillo e Metodio, c’è la bottega di Luigi Soricetti, meglio conosciuto come Gigio de Vintilì, figlio di Gianni de Vintilì e nipote di Peppe de Vintilì. La radice del soprannome si perde nella storia del paese e nessuna sa più neanche cosa possa significare o a cosa si possa attribuire il termine “vintilì”. Gigio è un arzillo settantacinquenne, ex operaio del Comune in pensione, smilzo e canuto. Da sempre raccatta materiale elettrico di cui i compaesani vogliono disfarsi (una vecchia radio a valvole, un rasoio Braun) e ammucchia tutto nella sua bottega. Qui poi smonta gli apparecchi pezzo pezzo  e li riassembla in strani aggeggi che sembrano sculture pop e che lui definisce invenzioni, tanto che, sopra la porta di legno scorticato e ingrigito dal tempo, il sole e la pioggia, troneggia una pretenziosa insegna dipinta a mano su una tavola di compensato, per la quale paga anche la tassa sulla pubblicità al Comune. Appena comparsa la scritta suscitò l’ilarità dei compaesani ma ben presto fu preso più sul serio. Chi vede l’insegna di Gigio de Vintilì legge: LUIGI SORICETTI – INVENTORE

   Gigio inventa di tutto e spesso (anzi, quasi sempre) le sue creazioni, a dispetto della forma poco rassicurante – ammassi di fili, trasformatori, valvole e altre amenità elettriche – funzionano. Come il sistema di irrigazione dell’orto del parroco, completo di tubi, pompa e irrigatori, che il buon prete la bella somma di 55.000 lire ed una messa in suffragio per la compianta moglie compresa nel prezzo. In effetti Gigio è piuttosto economico e spesso conviene farsi costruire uno dei suoi marchingegni piuttosto che scendere in pianura a comprare qualcosa di analogo ma industriale ad uno di quegli infernali centri commerciali.  Il Comune stesso gli ha commissionato e fatto realizzare un apparecchio che, dalla cabina elettrica che controlla l’illuminazione pubblica, segnala con delle spie luminose se in qualche parte dell’abitato si fulmini una lampadina di un lampione.

   Qualche volta ripara televisori e frigoriferi, si diletta di idraulica e di meccanica ma non ripara automobili. Ha una specie di tocco magico nelle sue riparazioni tanto che gli oggetti che aggiusta in genere funzionano meglio o, comunque, hanno qualcosa in più di prima che si guastassero. Quando Lisà de Strabuzzo riaccese il suo televisore dopo un intervento di Gigio fu stupito – ma non più di tanto – del fatto che ora poteva vedere anche TVC, l’emittente locale che, a tarda notte, trasmette filmetti pruriginosi  e che prima si era dannato l’anima per cercare con il sintonizzatore senza mai riuscirci.

   La bottega è un locale scuro illuminato con tubi al neon, col soffitto a volta e le pareti a mattone senza intonaco. Essendo uno scantinato è freso d’estate e caldo d’inverno tanto che molti amici di Gigio, nei pomeriggi di calura estiva, piuttosto che morire dal caldo per farsi una briscoletta al bar in piazza preferiscono far visita al compagno per godersi il fresco asciutto della bottega. Di fronte all’ingresso, nel punto più luminoso della stanza, Gigio ha posto il suo banco da lavoro, un tavolo di alluminio ingombro di cavi  e cavetti, cacciavite e spinette, valvole e capicorda, circuiti stampati e condensatori, con l’immancabile saldatore a stagno con  il filo dell’alimentazione che pende da una presa volante allacciata alla lampada al neon sopra il tavolo. A destra e a sinistra ci sono altri due tavoli, questi di legno, dove sono messi in mostra i lavori ultimati la cui funzione per alcuni è facilmente intuibile dall’aspetto mentre per altri rimane misteriosa.

   Un apparecchio simile ad uno sciacquone del water risulta essere invece uno spremi-pomodori con imbottigliatore automatico. Non glielo ha commissionato nessuno ma lui se l’è costruito così, per ispirazione, tanto prima o poi a qualcuno farà comodo. Infatti è l’ispirazione e la grande passione che fa sì che Gigio passi il suo tempo chiuso in bottega anziché ammazzare le giornate al bar con le carte in mano a bere birra o trebbiano di bassa qualità.

   Proprio di spalle al tavolo centrale si apre una porta ad arco che accede al magazzino, una stanza simile alla prima, di quattro metri per quattro circa, priva di aperture verso l’esterno, dove Gigio immagazzina in casse di legno e scatoloni, diligentemente catalogati, i vari componenti che ottiene dallo smontaggio dei vecchi apparecchi che raccoglie in giro con la sua Apetta 50. Una o due volte al mese fa il giro delle sue conoscenze. La gente lo sa e gli mette da parte gli apparecchi da buttare. Su uno scaffale a ridosso del muro a destra della porta sono ordinate quelle che lui stesso definisce “le invenzioni artistiche”. Sono la parte del lavoro che ama di più, quella puramente creativa, qualche volta filosofica. Sono quei marchingegni che realizza solo per il gusto di creare, magari facendo seguito ad una ispirazione notturna, a un pensiero improvviso, a una situazione di vita quotidiana che solletica la sua fantasia.

   E’ così, per esempio, che è nato il Salvatimpani, un oggetto a forma di telecomando per la tv – per forza di cosa visto che è da un telecomando tv che è nato – grande poco più di un pacchetto di sigarette quindi facilmente nascondibile in tasca. Al suo interno il circuito stampato originale è stato sostituito  da un marasma di fili, valvoline e diodi che hanno una funzione inimmaginabile. L’ha creato o, meglio, pensato (perché poi la sua concreta realizzazione ha richiesto un mese di lavoro) in un momento in cui era stufo di sentire le lamentele della moglie (“stai sempre chiuso là dentro, non ti si vede mai in casa”). In sostanza del telecomando originale funziona solo il tasto di esclusione del volume, quello con il piccolo altoparlante barrato disegnato sopra. Se si porta l’apparecchio a contatto con il corpo, anche attraverso gli strumenti, e si preme questo tasto non si sente più nulla se non un leggerissimo ronzio niente affatto fastidioso e che, comunque, Gigio non è riuscito a eliminare.  Può essere utile per le mogli petulanti ma anche in presenza di rumori fastidiosi. Più semplicemente va usato quando si necessita di silenzio. Gigio l’ha portato a casa una volta ma vedendo la moglie muovere soltanto la bocca è stato preso dal rimorso e l’ha riposto sullo scaffale della bottega. Ora pagherebbe chissà cosa per sentire di nuovo la voce di sua moglie. Il principio sul quale il funzionamento del Salvatimpani si fonda nessuno lo sa, probabilmente nemmeno il suo creatore. Infatti Gigio è inventore empirico, intuitivo. Le sue invenzioni funzionano perché funzionano. E basta. Le leggi della fisica c’entrano poco o niente.

   Tutte le invenzioni sono in vendita e spesso Gigio riesce a smerciarne qualcuna con grande soddisfazione, anche economica. Un suo vezzo è di non spiegare mai ai clienti in maniera esplicita e chiara il funzionamento dei suoi apparecchi. A lui piace fare in modo che l’acquirente si innamori del nome dell’oggetto e delle potenzialità che esso possa suggerire. Quando Gaetà de Vellocchi acquistò l’Apriporte universale, lo utilizzò semplicemente come chiave a distanza per la rimessa dove teneva la sua Nuova Cinquecento del ’69 rosso Ferrari non sapendo che, con quell’apparecchio che sembrava un rasoio elettrico Philips col taglia basette aperto poteva aprire qualsiasi porta, anche quella del caveau della banca, con una semplice pressione sul tasto on/off.

   Qualche volta al paese viene gente di fuori – li chiamano i forestieri – turisti della costa a caccia di vestigia del passato nell’entroterra. A Monte San Girolamo di vestigia ne trovano, visto che l’ultima casa è stata edificata nel 1923. Sono questi i principali acquirenti delle Invenzioni Artistiche. Attratti dall’insegna un po’ pretenziosa ma comunque curiosa entrano nella bottega, curiosano, chiedono spiegazioni e, quando Gigio tira fuori i suoi pezzi d’estro, non resistono alla tentazione di portarsi a casa, magari a Milano, un Registratore di Pensieri a Nastro o un Rullo Rigeneratore di Suole, tutto rigorosamente di artigianato locale marchigiano autoctono.  Di solito questi oggetti, al ritorno a casa, vengono mostrati agli amici e, dopo un po’, dimenticati in qualche scatolone senza neanche verificarne il reale funzionamento. Ma a Gigio non interessa. Una volta venduta la sua creatura non è più sua. Salvo la soddisfazione di sapere una sua invenzione a Torino o magari a Monaco di Baviera, foss’anche in un bidone della spazzatura.

   LE invenzioni sono pezzi unici. Nel senso che, in genere, solo il prototipo funziona. Un paio di volte ha cercato di riprodurre un apparecchio realizzato precedentemente e poi venduto ma non ha mai funzionato. Così adesso, sopra la porta del magazzino, proprio dietro il tavolo centrale, sta scritto su un pezzo di truciolato: Non si eseguono repliche


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