Il giudizio di Elisabetta BartuccaSummary:
La trattativa: Sabina Guzzanti “tolleranza zero”
Non poteva essere più esplicativo di così il titolo del film con cui Sabina Guzzanti si presenta fuori concorso alla 71. Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. Politico per molti, di impegno civile per altri, “La trattativa” (in sala dal 2 ottobre per Bim) si cimenta nell’impresa di ricostruire tra documentario e finzione i fatti della ormai nota trattativa Stato-Mafia all’indomani delle grandi stragi degli anni ’90. Fatti incontestabili, precisi, verificati “più di mille volte” e documentati, così come li riportano gli atti del processo in corso.
Scartoffie, testimonianze, immagini di repertorio, ricostruzioni giornalistiche: l’enorme mole di materiale vagliato nei quattro anni che sono stati necessari alla realizzazione del film, diventa sullo schermo una docu-fiction. Le scene, in cui gli attori recitano in un teatro di posa quegli episodi, si alternano a scorci di una realtà avvilente, rivelando una verità che non lascia spazio a dubbi: la trattativa c’è stata.
“Il mio film è inattaccabile. Al di là della verità processuale, quei fatti sono purtroppo accaduti. Viviamo in un paese in cui siamo ormai abituati ad aspettare l’esito di un processo prima di poterci esprimere, ma il fatto che a volte non ci siano colpevoli non vuol dire che certi fatti non siano accaduti e che l’opinione pubblica non debba approfondire certi argomenti e trarre le sue conclusioni anche prima”. La Guzzanti ne ha per tutti, non risparmia nessuno, rivolgendo un preciso atto di accusa verso massoni, boss, istituzioni. Da Mancino a Napolitano, da Dell’Utri al colonnello dei Ros Mario Mori: tutti alla berlina, alla mercè di un racconto diretto, minuzioso e fedele ai fatti. Dagli omicidi di Falcone e Borsellino alla nascita di Forza Italia, dalla mancata perquisizione del covo di Riina al maxiprocesso: il racconto si fa serrato snocciolando date, intrecci politici e nomi. Meno satira, ma più slancio cinematografico: ne “La trattativa” la Guzzanti riesce forse laddove altre volte aveva fallito, si fa cinema e fa un passo indietro rispetto alle solite tirate autocelebrative. Il contributo artistico di Daniele Ciprì alla fotografia fa il resto.
Per chi guarda scorrere davanti agli occhi pezzi di un passato recente rimbalzato più e più volte da Tg e reportage in un confuso generico j’accuse, la sensazione finale è di aver perso. Una sconsolante e rassegnata presa di coscienza, un misto di impotenza e rabbia, perché “se non ci fosse stata trattativa, questo sarebbe un paese diverso e migliore”.
di Elisabetta Bartucca per Oggialcinema.net