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La Vastedda riscatta la Valle del Belìce

Da Makinsud
La Vastedda riscatta la Valle del Belìce

Con l’espressione Valle del Belìce si intende una vasta area della Sicilia occidentale segnata dal passaggio del fiume Belìce (lungo 77 km) che racchiude comuni delle province di Trapani, Agrigento e Palermo. La Valle del Belìce ha avuto un passato glorioso grazie a Sicani, Elimi, Fenici, Greci che l’hanno abitata.
Non possiamo, ahimè, dire lo stesso della contemporaneità, segnata da un avvenimento incredibilmente drammatico e, al contempo, scandaloso: nel gennaio del 1968 l’area è stata colpita da un fortissimo terremoto che ne ha devastato molti comuni.
La ricostruzione successiva è stata caratterizzata da opere faraoniche, dispendio assurdo di fondi pubblici, corruzione e speculazione. Oltre il danno (che umanamente è stato tragico) la beffa: ancora oggi la ricostruzione sembra un miraggio.

La Valle del Belìce, tuttavia, gode di un’altra fama ben più positiva che la mette in bella mostra a livello nazionale ed estero grazie alla produzione di prodotti enogastronomici assolutamente genuini e tipici, come la Vastedda del Belìce: l’unico formaggio di pecora a pasta filata presente sul suolo nazionale secondo Slow Food che lo tutela attraverso il suo presidio.
Gli stessi produttori da qualche anno si sono riuniti in consorzio (Consorzio di tutela della Vastedda della Valle del Belice, per l’appunto) ottenendo per questo formaggio anche il marchio Dop (Denominazione Origine Protetta).

vastedda

Come per i prodotti più buoni e tipici, la Vastedda nasce da un errore. Pare, infatti, che un antico casaro siciliano – una volta lavorato il latte delle sue pecore – avesse messo la pasta ottenuta nelle fuscelle, tipici cestini in giunco. A causa delle alte temperature, però, il suo prodotto si guastò e il casaro tentò di rimediare all’accaduto immergendo la pasta nell’acqua calda, proprio come per la ricotta. Grazie a questo tentativo – che oggi è una tecnica di lavorazione vera e propria – la pasta cominciò a filare. Posizionata su un piatto, assunse la forma di focaccia – vastedda, per l’appunto – da cui prese il nome.

Prodotta interamente con il latte fresco di pecore razza Valle del Belìce nel periodo estivo, questo formaggio ha un gusto molto particolare con note leggermente acidule che ben si bilanciano con gli aromi tipici del latte fresco dal sapore dolce e gradevole. La sua pasta è bianca e, insieme alla caratteristica forma a focaccia, con le sue facce lievemente convesse, rende inconfondibile la Vastedda. Interessanti anche le qualità organolettiche: per via della speciale tecnica di filatura, viene generato un dilavamento del grasso che, a parità del peso, fornisce un incremento delle proteine presenti.

Da una parte, la bassa concentrazione di lipidi lo rende, dunque, un formaggio molto leggero e digeribile; dall’altra, le proteine, insieme a vitamine liposolubili e sali minerali, costituiscono un eccellente fonte di principi nutrivi.
Ed è proprio questa caratteristica organolettica che ha convinto lo chef stellato Igles Corelli a sostituire nei suoi piatti i più noti – a livello nazionale – ricotta e parmigiano con la Vastedda del Belìce, considerata meno invasiva in fatto di gusto. Corelli – cuoco di un noto ristorante a Pescia – è l’inventore della cosiddetta “cucina garibaldina”, ovvero, una linea di cucina che prevede l’utilizzo solo dei migliori prodotti italiani. E
d ecco così serviti uovo croccante con zabaione di Vastedda, lasagnetta con Fassone e Vastedda, fritelle di baccalà con purea di patata violetta profumata alla Vastedda, maccheroni risottati con Vastedda, insalata tiepida con stoccafisso su corona di carciofo e crema di Vastedda… Ma non è tutto: nella sua attività di consulenza per ristoranti italiani e stranieri, lo chef Corelli va in giro con il Consorzio della Vastedda del Belìce a sostenere la causa di questo formaggio Dop prodotto nel cuore della Sicilia. Insomma, il riscatto della Valle del Belice sembra essere finalmente servito. Almeno a tavola.


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