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La verita', nient'altro che la verita'. tu la sai?

Da Miwako
LA VERITA', NIENT'ALTRO CHE LA VERITA'. TU LA SAI?Maggio 2000, seconda superiore, ora di Scienze Sociali. Le finestre sono aperte, gli alberi del cortile trasudano linfa da ogni poro, l'aria è frizzante, il cielo è una distesa senza fine, sporcata solo dal verde delle foglie che vi si stagliano contro. Osservo rapita la disarmante, complessa semplicità con cui la natura è, inconsapevolmente se stessa. Vengo distratta dalla Prof P. che parla di Piaget, ma presto qualcosa attrae di nuovo il mio sguardo, la fuori. E' un signore in bici, indossa un cappello e un completo di flanella decisamente troppo pesante per la stagione. E'un abito a quadri, simile a quelli che portava mio nonno. Per pochi istanti lo guardo pedalare all'ombra degli alberi, prima di vederlo sparire nel nulla. Mi volto verso A., la mia compagna di banco, osservo il resto della classe; niente. Nessuno sguardo di condivisione, nessuna faccia sorpresa, nessuno sembra aver visto alcunchè. La cosa, non avrebbe nulla di anacronistico, nell'evento in sè, come nel disinteresse delle mie compagne, se non fosse per un dettaglio: la mia classe si trova al secondo piano di un edificio di fine Ottocento.Credo sia stata l'ultima allucinazione che ho avuto, oltre che una delle poche in vita mia. Sono consapevole dell'incorruttibilità delle leggi della fisica, dell'impossibilità effettiva che un fatto del genere si verifichi. Nonostante ciò, i dettagli di quella breve visione, erano così nitidi da indurmi a credere che, da qualche parte, un evento del genere non solo fosse possibile, ma anche ordinario. I capelli sottili e canuti che spuntavano da sotto il cappello, debolmente mossi dal vento; le pieghe corpose che si formavano sotto le ginocchia mentre il signore pedalava; la consistenza pesante e polverosa del vestito che indossava, tutto in quei pochi attimi era così reale, da non lasciarmi poi così sorpresa.
Erano anni che non ripensavo a questo episodio, e mentre ripercorro a ritroso quei brevi istanti, nella mia testa prendono vita una serie di quesiti, congetture, ipotesi e pensieri che cerco di riassumere in una sola domanda: dov'è il confine tra reale e irreale? Il dualismo che mi caratterizza, si esplica prepotentemente anche in questi momenti; da un lato, il possibilismo che è uno dei miei pilastri, mi induce a pensare che, alla fin fine, noi esseri umani, non sappiamo un bel niente. Ci siamo fatti un'idea più o meno vaga di ciò che accade nel mondo, abbiamo inventato leggi a sostegno o negazione di ciò in cui crediamo, e il fatto di poter confutare questo o quel fatto usando l'intelligenza, ci da l'illusione, estremamente reale, di poter tracciare una linea spessa quanto un'autostrada a sei corsie, tra ciò che è possibile, e ciò che non lo è, tra cosa è reale, e cosa non lo è. Dall'altro lato, c'è il mio animo empirista, il San Tommaso che non crede se non ci mette il naso, l'essere figlia, nel corpo e nella mente, dell'evoluzionismo darwiniano, per cui a nulla serve il credere in cose che non siano scientificamente dimostrabili.La sintesi tra questi due poli magnetici che hanno, in me, una forza quasi eguale, si traduce nel credere all'empirismo, alla scienza, a ciò che ha senso nella misura in cui sottosta ad una precisa logica, pur lasciando aperta la via del possibilismo più assoluto.Può sembrare una contraddizione in termini, e forse lo è, ma credo che la verità, intesa come realtà assoluta, oggettiva ed inconfutabile (ammesso che esista), non si trovi nè nella devozione cieca nei confronti della scienza, nè nel possibilismo divino che consentirebbe agli asini di volare, se solo Dio lo volesse; piuttosto in un punto mediano imprecisato tra le due cose. A scanso di equivoci, ci tengo a sottolineare il mio irrimediabile agnosticismo; parlo di Dio e asini che volano per esemplificare e facilitare l'estremismo che mi permette di chiarire la mia posizione.La posizione intermedia di cui sopra, si manifesta nel credere in ciò che la scienza ha scoperto fino ad ora, senza però arrogarsi la pretesa (supponente ed illusoria) di potere, in virtù di ciò, conoscere, indagare e categorizzare tutto il mondo sensibile ed intelligibile. Riallacciando il discorso alle allucinazioni, posso dire che, anche se non è facile per me, a parole, dare a questo evento una collocazione precisa, anche se è difficile staccarmi dal razionale a tal punto da non considerarlo solo una mera produzione del mio cervello, il beneficio del dubbio che da sempre mi spinge a domandarmi il perchè delle cose, mi porta a lasciare aperto un varco in cui è possibile ammettere la non conoscenza di qualcosa, pur senza delegare al divino. Agnosticismo, appunto.
Non voglio annoiare più di quanto abbia già fatto, ma sento il bisogno di metterci nel mezzo due cifre, così, giusto per dare una datazione temporale universale che permetta di comprendere il mio punto di vista.La terra ha, anno più anno meno, 4,5 miliardi di anni. L'Homo Sapiens, ne ha "solo" 500.000. Le scoperte fatte nei secoli, il bagaglio di conoscenze, crescita cerebrale, culturale e intellettuale accumulate ha dello sbalorditivo, visto dai nostri microscopici occhi, ma credo che troppo spesso ci si dimentichi di quanto siamo "giovani", di quanto di inconoscibile c'è che, seppure la scienza può supporre sulla base delle precedenti scoperte, non è in grado di dimostrare. Il divino, lasciamolo stare, con le sue pretese di conoscenza e spiegazione senza alcuna dimostrazione, non è decisamente vicino alla mia idea di verità. Ciò che mi preme è l'impossibilità riguardo diversi fenomeni, di schierarsi. Ciò che mi preme, è l'ammissione di milioni di possibilità, pur non tradendo la scienza.
Pazzi, allucinati, psicopatici, visionari. Chi stabilisce il confine tra noi e loro? Cosa succede quando noi, anche solo per un attimo, diventiamo loro? Il fatto che la maggior parte delle persone non veda ciò che vedono loro, rende le loro visioni forse meno reali? Esiste una percentuale conoscibile di possibilità che ciò che vedono sia, in qualche altra dimensione, una realtà? Con quale diritto releghiamo queste persone nella categoria dei "disturbati mentali"?Col diritto della maggioranza, l'illusione della sanità mentale, la presunzione di sapere cosa è possibile e cosa non lo è, a livello assoluto.L'aver avuto un paio di allucinazioni, seppure spaventevolmente reali, non mi da un'idea nemmeno vaga di cosa si possa provare nel vedere quotidianamente cose che il resto del mondo non vede; d'altra parte l'apertura all'eventuale esistenza di cose che per ora non siamo in grado di spiegare, mi induce a credere che non sia sempre possibile tracciare una linea di confine.Forse qualcuno di loro non riesce a distinguere le allucinazioni da ciò che è tangilibile e viene imbottito di psicofarmaci con lo scopo di tenerlo ancorato alla realtà (ma quale poi?); forse ve ne sono altrettanti che sono consapevoli della solitudine in cui vivono questi momenti paralleli e inesistenti, e pur senza riuscire a spiegarseli in maniera logica, accettano di buon grado di vedere cose che, per la maggior parte delle persone, non esistono. In ognuno dei casi, non abbiamo sufficienti informazioni per condannare queste persone. Perchè l'insanità mentale, le pilloline del buonumore, le cure medico-psichiatriche, se da un lato rappresentano una risorsa, dall'altra si traducono in una sentenza, per lo più inappellabile, di inadeguatezza nei confronti del mondo.
Paulo Coelho è stato in manicomio per tre volte, rinchiuso in quei luoghi inumani dalla famiglia che non riusciva ad accettare la sua diversità, a vedervi una possibile ricchezza; qui subisce elettroshock e cure farmacologiche devastanti. La cura alla sua pazzia iraconda si trova nell'espressione della sua interiorità che, per anni, gli è stata negata. Sfuggire alla cura ad ogni costo, è stata la sua cura; scrivere è stata la sua cura, poter essere se stesso è stata la sua salvezza.
Stessa sorte per Alda Merini, internata per un decennio, sottoposta ad elettroshock e punizioni corporali che, si supponeva, dovessero curare una mente che, si supponeva, essere malata.
E molti altri hanno avuto lo stesso destino, persone senza nome, senza volto, per noi "sani", qua fuori; persone invisibili, ritenute inadeguate. Non dubito dell'esistenza di deliri mentali che debbano essere curati in qualche modo, di psicopatologie gravi che conducono a conseguenze, nella vita reale, altrettanto gravi; dubito solo della capacità umana di giudicare le persone; dubito dei criteri con cui talvolta si stabilisce che una persona è squinternata; dubito dell'infallibilità della medicina, non in sè, quanto nelle mani di chi la pratica; dubito infine della giustificazione che accompagna scelte di questo tipo. Alda Merini diceva "Ero matta in mezzo ai matti. I matti erano matti nel profondo, alcuni molto intelligenti. Sono nate lì le mie più belle amicizie. I matti son simpatici, non così i dementi, che sono tutti fuori, nel mondo. I dementi li ho incontrati dopo, quando sono uscita."L'utopistica convinzione di  saper distinguere tra bene e male, fa acqua da tutte le parti, quando si ha a che fare con quasi sette miliardi di esseri umani, e allora dov'è la giustizia universale? Che diritto abbiamo noi di decidere che se qualcuno vede qualcosa che altre cento persone non vedono, questo qualcuno è pazzo? Religione, scienza, ha davvero importanza a questo punto? Esiste davvero qualcosa cui sarebbbe universalmente giusto affidarsi? Come si può dormire la notte sapendo che la maggior parte della sofferenza umana è indotta da altri esseri umani? A cosa serve, in questi momenti, tutto ciò che sappiamo o crediamo di sapere?Chiunque sia, dov'è il tuo Dio adesso?

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