Il signor Leo Amani risponde su Jambo Africa al mio post “ Epitaffio per Carlo Isaia Bellomi, prete assassino” (lo trovate qui), dicendo che per obiettività dovrei pubblicare anche un paio di articoli dei quali mi dà il link. Lo ringrazio di avermeli segnalati. Sono interessanti perché scritti nel 1996, quindi a caldo, visto che Bellomi è stato scarcerato proprio in quell’anno. Solamente 2 anni dopo il genocidio, bastava grattare la terra e affioravano le ossa. Anch’io mi trovavo in Rwanda, ma ho passato la maggior parte del tempo a Gisenyi con una missione svizzero-danese che faceva un rapporto sugli orfani del genocidio e sulle elezioni presidenziali. Ecco l’articolo del quotidiano italiano Repubblica.
“ARRESTATE QUEL PRETE ITALIANO”
La Repubblica, 21 dicembre 1996 — pagina 17 sezione: MONDO KIGALI -
Padre Carlo Bellomi rischia la vita. Potrebbe essere condannato a morte dal governo ruandese che lo indica tra i mandanti del genocidio del 1994. Il religioso italiano è nella lista ufficiale (che contiene 1946 nomi), diffusa pubblicamente in Ruanda ai primi di dicembre. Oltre a lui ci sono altri 10 religiosi (tra cui un francese, padre Gabriel Maindron), quasi 150 funzionari e dignitari di Stato (per esempio la moglie del presidente Habyarimana, Agathe), e poi centinaia di militari delle Forze armate, contadini, gente comune. Tutti accusati d' aver preparato, e compiuto, il massacro di oltre 800 mila persone. Il padre italiano era stato arrestato e incarcerato in Ruanda il 7 giugno del ' 95, nella diocesi di Kibungo, nel sud-est del paese. L' anziano missionario, è nato nel Nord Italia nel 1921, è rimasto in prigione per quasi un anno, con l' accusa di genocidio. Alla fine di aprile, dopo l' interessamento diretto del governo italiano, il senatore della Lega Nord Fiorello Provera, con una breve missione in Ruanda, lo ha fatto uscire dal carcere e lo ha riportato in Italia. Le condizioni di salute del religioso erano tali, insistevano le autorità italiane, da mettere a repentaglio la sua vita. Adesso però la giustizia ruandese vorrebbe processarlo e, secondo la legge di Kigali, potrebbe giustiziarlo, se le accuse che gli vengono mosse si rivelassero tutte fondate. Perché padre Bellomi fa parte della prima categoria, quella dei mandanti, quelli che pagherebbero con la vita le loro colpe. Le altre tre categorie, che compredono gli oltre 80 mila incarcerati del paese (e i molti ancora rifugiati oltrefrontiera), prevedono l' ergastolo, (2 per categoria), e man mano pene di detenzione più lievi. I giudici avrebbero raccolto molte testimonianze; per qualcuno "padre Bellomi è stato visto portare Interahamwe (i miliziani hutu, ndr) sulla sua auto", altri "lo hanno visto presente sui luoghi del massacro". Nessuno però, stando alle prove raccolte, lo ha visto materialmente uccidere. Tanto basta comunque al giudice del distretto di Kibungo per volerlo processare. Per adesso però la giustizia ruandese sembrerebbe non aver ancora trovato testimoni oculari, persone realmente presenti che hanno visto padre Bellomi accompagnare gli estremisti hutu armati di machete nei luoghi dove compivano le stragi. Ma, spiegano fonti occidentali, l'accusa per sentito dire qui ha una certa fondatezza, perché quello che qualcuno diffonde a voce viene di solito preso come verità; ovvero, la tradizione orale africana conserva ancora un grande valore, anche nel caso di un' accusa. "Certo, è stata una sorpresa per noi leggere il nome di padre Carlo Bellomi nella lista della prima categoria, non ci aspettavamo una messa in stato d' accusa del genere", spiegano i Padri Bianchi di Kigali. Sono loro i missionari responsabili della 'Santa Famiglia', la grande chiesa in mattoni rossi che sorge nel centro di Kigali e dove, secondo molte testimonianze, agiva padre Wenceslas Munyeskaya. Il prete ruandese (anch' egli nella lista dei 1946), avrebbe redatto lunghi elenchi di persone, consegnandoli poi agli Interahamwe che avrebbero pensato a giustiziarle. Per questi elenchi padre Wenceslas (che è accusato anche dal giornale cattolico francese Golias), è finito nella lista. Adesso è in Francia, rimesso in libertà dalla giustizia francese dopo un periodo di detenzione. Il suo fascicolo è nelle mani dei giudici del tribunale internazionale di Arusha, in Tanzania, dove dovrebbero essere giudicati - con un procedimento identico a quello usato dal tribunale per i crimini nell' ex Jugoslavia - i responsabili del genocidio. La giustizia ruandese s' è venuta così a trovare in conflitto con il tribunale internazionale, che oltretutto non prevede la pena di morte per i condannati. L' anno scorso il governo di Kigali ha tentato di dimostrare d' essere ben più efficiente e rapido di Arusha; ma in realtà sembra che la macchina giudiziaria non si sia ancora messa in moto. E viene reputato assai improbabile che tutti i processi vengano portati a termine. Intanto, le persone accusate restano negli oltre 250 cachot, le prigioni create in fretta e furia ovunque nel paese per rinchiuderli. Della lista, solo tre preti, ruandesi, sono dietro le sbarre. Neanche Agathe, consorte del presidente assassinato il 6 aprile del ' 94 (giorno d' inizio dei massacri), è nelle mani della giustizia di Kigali. Viene ritenuta a capo della banda di estremisti hutu del partito del marito. Il gruppo aveva creato un ' governo parallelo' a quello ufficiale, contrario a ogni accordo con i tutsi, cosa che invece Habyarimana era quasi riuscito a fare. Per questo fu abbattuto il suo aereo e si scatenò la caccia agli hutu moderati e a tutti i tutsi. Sembra che gli attacchi contro padre Bellomi, presente in Ruanda fin dal 1947, risalgano alla fine degli Anni ' 50 e ai primi Anni ' 60, quando il Ruanda divenne indipendente dal Belgio. Dietro alle accuse recenti si nasconde forse la vendetta di alcuni gruppi che si sentirono trattati male dal religioso. Il governo italiano, attraverso l' ambasciata in Uganda, si sta occupando del caso. Ed è comunque assai prematuro parlare dei possibili meccanismi d' estradizione da Italia e Ruanda. Per quel che riguarda il Vaticano, non sembra finora esserci una presa di posizione ufficiale. Pochi giorni fa il Papa ha dichiarato che "i religiosi che in Ruanda si sono resi responsabili di atti contrari alla morale cattolica", devono essere pronti a pagare per le loro colpe. Ma il Papa è anche contro la pena di morte. - dal nostro inviato STEFANO CITATI
Come potete vedere, per salvare Bellomi si è mobilitata la Lega Nord e perfino Susanna Agnelli. Come no, con quale diritto si mette in prigione un prete, e per di più bianco, solamente per avere ammazzato qualche negro? Roba da matti, non c’è più religione. Notate che i baciapile non hanno fatto quadrato soltanto intorno a Bellomi. Athanase Séromba, uno dei più grandi assassini della storia, colpevole di avere bruciato 2000 persone nella sua chiesa e poi averle schiacciate con il bulldozer, è stato difeso con le unghie e coi denti da ben 2 papi, Woytila e Ratzinger. Come potete leggere nell’articolo di Repubblica, “pochi giorni fa il Papa ha dichiarato che i religiosi che in Ruanda si sono resi responsabili di atti contrari alla morale cattolica devono essere pronti a pagare per le loro colpe”. Un’altra conferma, se mai fosse necessaria, che i papi hanno la lingua più biforcuta di quella di un cobra, dato che TUTTI, e sottolineo TUTTI, i preti assassini sono stati difesi, protetti e coccolati dalla chiesa cattolica in ogni modo possibile. Per farsi liberare, Bellomi ha piagnucolato che era praticamente moribondo, cosa che non gli ha impedito di sopravvivere per ben 16 anni dopo il suo ritorno in Italia, segno che al momento dell’arresto godeva di una salute di ferro. Un altro bugiardo. Come ha mentito sulle sue attività in Rwanda, in modo da farsi passare per santo presso i poveri ingenui che gli davano retta nella provincia di Brescia: “Ero là per aiutare gli orfanelli…” Balle. Di questo personaggio ho sentito parlare fin dagli anni Ottanta. Era là per predicare l’odio. Per lui i Tutsi erano atei, comunisti e figli di Satana (sottinteso: andavano sterminati). Infatti, al momento buono, si è armato di un fucile e ha indossato la tuta mimetica delle FAR per guidare gli Interahamwe al massacro. Era allo stesso tempo un mandante e un esecutore. Al posto di Kagame non lo avrei lasciato partire. Avrebbe meritato la pena di morte che a quell’epoca in Rwanda era ancora in vigore e che è stata abolita pochi anni dopo, mentre i preti l’hanno mantenuta in vigore per secoli, anche dopo la perdita del potere temporale. Questo per rispondere a Repubblica che dice “il papa è contro la pena di morte”. Una delle tante balle che provengono da quella fabbrica di menzogne che si chiama Vaticano.
“Nessuno” dice l’articolo “ha visto Bellomi materialmente uccidere”. Non c’è da meravigliarsi: i suoi amici Interahamwe si guardano bene dal parlare, sapendo che sarebbero puniti per i loro crimini. Quanto alle vittime, com’è noto, i morti non parlano.
Dragor