Tra un bicchiere di scotch e un sigaro Montecristo Barney Panofsky ripercorre le tappe fondamentali della sua vita in cerca della verità sulla morte dell’amico Boogie di cui è accusato dal detective O’Hearne, autore di un libro infamante sulla vicenda e determinato a sbatterlo in cella. Nei suoi ricordi riaffiorano figure legate ad un vivace passato, come la prima moglie suicida e gli amici italiani, fino ad arrivare alla donna della sua vita, un’elegante conduttrice radiofonica.“La versione di Barney” è un film di cui molto si è parlato e non sempre in termini lusinghieri. Questo sia per l’amore spassionato dei fans per il romanzo, sia per le ovvie difficoltà che gli sceneggiatori avranno incontrato nel tentativo di dare una veste cinematografica allo stile di Mordecai Richler. Ciò mi ha spinto inevitabilmente a cercare il libro per capire meglio le pecche di questo film. Già dalle prime pagine si intuisce che non si tratta soltanto di problemi di scrittura superati male, ma di un vero e proprio tradimento del registro usato dallo scrittore: il Barney del romanzo è un uomo scaltro e tendenzialmente grezzo che grazie a una buona dose di fortuna riesce a farsi una posizione consolidata nel mondo delle produzioni televisive. Come se non bastasse Panofsky è ebreo, quindi intelligente quanto basta per essere cattivo. Tutto questo nel film viene brutalmente attenuato e il personaggio che ci troviamo di fronte è poco più di un ricco Homer Simpson (con tutto il rispetto per il divo giallo) alle prese con riti yiddish, donne e litri di whisky. Fino al doloroso disfacimento della memoria assistiamo alle gesta di un viveur di razza completamente assorbito dalla necessità di soddisfare i suoi vizi. Simpatico ma ordinario eroe dell’autodistruzione, Paul Giamatti mette tutto se stesso nel personaggio e grazie alla sua fisicità sfatta trasmette cupidigia e abbandono anche se non raggiunge la credibilità dello straordinario Dustin Hoffmann, assolutamente a suo agio nel ruolo di Izzy Panofsky, la scheggia impazzita che esplicita ad ogni sua apparizione il feroce sarcasmo ebraico senza eccedere oltre la giusta misura. A lui si devono i momenti più esilaranti e piacevoli del film.Richard J. Lewis (scuola CSI) si mette al servizio dell’opera cult senza strafare come era facilmente prevedibile e alla fine, soprattutto grazie al talento degli interpreti, confeziona un prodotto fatto su misura per gli spettatori ignari del prodigio letterario che si lasceranno piacevolmente coinvolgere dallo sregolato mondo di Barney.Certo, era impossibile negare al cinema una storia così potente, colma di sfaccettature e commovente nel finale, ma è inevitabile constatare che, a fronte di tutta questa ricchezza il risultato non è che un’occasione sciupata che si traduce in un film mediocre, da vedere per correre il libreria subito dopo.Voto: 6
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Tra un bicchiere di scotch e un sigaro Montecristo Barney Panofsky ripercorre le tappe fondamentali della sua vita in cerca della verità sulla morte dell’amico Boogie di cui è accusato dal detective O’Hearne, autore di un libro infamante sulla vicenda e determinato a sbatterlo in cella. Nei suoi ricordi riaffiorano figure legate ad un vivace passato, come la prima moglie suicida e gli amici italiani, fino ad arrivare alla donna della sua vita, un’elegante conduttrice radiofonica.“La versione di Barney” è un film di cui molto si è parlato e non sempre in termini lusinghieri. Questo sia per l’amore spassionato dei fans per il romanzo, sia per le ovvie difficoltà che gli sceneggiatori avranno incontrato nel tentativo di dare una veste cinematografica allo stile di Mordecai Richler. Ciò mi ha spinto inevitabilmente a cercare il libro per capire meglio le pecche di questo film. Già dalle prime pagine si intuisce che non si tratta soltanto di problemi di scrittura superati male, ma di un vero e proprio tradimento del registro usato dallo scrittore: il Barney del romanzo è un uomo scaltro e tendenzialmente grezzo che grazie a una buona dose di fortuna riesce a farsi una posizione consolidata nel mondo delle produzioni televisive. Come se non bastasse Panofsky è ebreo, quindi intelligente quanto basta per essere cattivo. Tutto questo nel film viene brutalmente attenuato e il personaggio che ci troviamo di fronte è poco più di un ricco Homer Simpson (con tutto il rispetto per il divo giallo) alle prese con riti yiddish, donne e litri di whisky. Fino al doloroso disfacimento della memoria assistiamo alle gesta di un viveur di razza completamente assorbito dalla necessità di soddisfare i suoi vizi. Simpatico ma ordinario eroe dell’autodistruzione, Paul Giamatti mette tutto se stesso nel personaggio e grazie alla sua fisicità sfatta trasmette cupidigia e abbandono anche se non raggiunge la credibilità dello straordinario Dustin Hoffmann, assolutamente a suo agio nel ruolo di Izzy Panofsky, la scheggia impazzita che esplicita ad ogni sua apparizione il feroce sarcasmo ebraico senza eccedere oltre la giusta misura. A lui si devono i momenti più esilaranti e piacevoli del film.Richard J. Lewis (scuola CSI) si mette al servizio dell’opera cult senza strafare come era facilmente prevedibile e alla fine, soprattutto grazie al talento degli interpreti, confeziona un prodotto fatto su misura per gli spettatori ignari del prodigio letterario che si lasceranno piacevolmente coinvolgere dallo sregolato mondo di Barney.Certo, era impossibile negare al cinema una storia così potente, colma di sfaccettature e commovente nel finale, ma è inevitabile constatare che, a fronte di tutta questa ricchezza il risultato non è che un’occasione sciupata che si traduce in un film mediocre, da vedere per correre il libreria subito dopo.Voto: 6
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