Non conoscevo questa storia. Ma a quanto pare Alessandro Sallusti – il direttore di Il Giornale – rischia il carcere per una diffamazione aggravata a mezzo stampa, perpetrata ai danni di un magistrato per un articolo – a firma Dreyfus – pubblicato su Libero nel 2007. Nell’articolo il misterioso Dreyfus polemizzava fortemente con il magistrato e la famiglia di una ragazzina di 13 anni “costretta” ad abortire.
Il magistrato non sopportò la pesante critica e querelò il cronista che scrisse l’articolo sulla vicenda della bambina (Monticone) e il misterioso Dreyfus, che per suo conto sparò una bordata pesantissima contro la famiglia, il medico e il magistrato. In primo grado, sia il giornalista che Sallusti vennero puniti con un’ammenda rispettivamente di 4 mila euro e 5 mila euro. Tuttavia, il diffamato appellò e con lui appellò (cosa piuttosto insolita) anche la Procura della Repubblica. La corte d’appello, accoglie il ricorso e condanna Sallusti a 14 mesi di carcere, senza la sospensione condizionale della pena, in qualità di direttore responsabile al quale viene attribuita la paternità dell’articolo a firma Dreyfus.

Su Il Giornale (v. fonte) scrivono che ora Sallusti rischia il carcere se la Cassazione respingerà il ricorso di legittimità. Personalmente non ne sono convinto. Con 14 mesi di reclusione, si può accedere tranquillamente a una misura premiale alternativa, e Sallusti se la caverà benissimo senza un giorno di cella.
Ma non è questo il problema. Il problema riguarda l’esistenza nel nostro ordinamento di norme che limitano fortemente la libertà di espressione e di stampa, stabilendo addirittura il carcere per chi viene querelato all’autorità giudiziaria, in quanto sentitosi diffamato. Cosa che non accade nelle più grandi democrazie del mondo, dove la diffamazione o è stata depenalizzata (es. Gran Bretagna, USA, ma anche Svezia, Norvegia), oppure prevede solo una sanzione pecuniaria che varia da paese a paese (Francia, Germania, Svizzera). Sulla questione persino la Corte di Strasburgo stigmatizza la presenza della pena carceraria nella repressione della diffamazione, asserendo che questa dovrebbe essere limitata solo ed esclusivamente ai casi di incitazione all’odio e alla violenza (ricorso 2444/07, Kydonis).
In Italia però insistono ancora queste norme di chiara estrazione fascista, e spesso il giornalista (e non solo) subisce un processo penale per le opinioni espresse e i giudizi dati attraverso un articolo di stampa, in Tv o su un sito web. Nel caso di Sallusti, il famoso Dreyfus si limitò a dare un giudizio sì molto critico, ma certamente non tale da meritare – il Direttore Responsabile - il carcere o comunque la condanna penale al carcere.
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Forse è arrivato il momento che il Parlamento si occupi della vicenda e prenda in considerazione una seria revisione delle norme sulla libertà di stampa ed espressione, anche per garantire la piena attuazione dell’art. 21 Cost., attraverso la depenalizzazione della diffamazione, limitando lo strumento giudiziario all’azione civile per il risarcimento del danno extracontrattuale (2043 c.c.) e riservando lo strumento penale – su indicazione della Corte di Strasburgo – ai soli casi di incitazione all’odio, alla violenza o all’apologia di reato. Diversamente, continueremo a vivere in un clima di terrore, manifestamente incompatibile con uno Stato di diritto democratico e liberale quale l’Italia aspira a essere.
Fonte: Il Giornale



