la capacità di gioire del e nel proprio lavoro, la capacità di relazionarsi con garbo e cortesia, con competenza e gratitudine.
Salvo pochissime eccezioni, l’esemplare adulto in età da lavoro è sgraziato, di cattivo umore, scostante, demotivato spesso si ha l’impressione di vivere in una società dove ancora vigono i lavori forzati.
La mancanza di educazione, in questo caso educazione al lavoro, è una piaga in espansione. La vera povertà dell’uomo contemporaneo è l’incapacità affettiva, è la sua regressione all’uso degli istinti primordiali, con grande responsabilità di tutti, ma in particolare dell’istituto familiare. Sappiamo tutti che la famiglia, quale cellula più piccola del sistema sociale, è stata dissacrata, rinnegata, offesa, ridicolizzata, frantumata; i ruoli al suo interno risultano confusi, aboliti, derisi; si sono persi i riferimenti, i modelli, l’autorevolezza e di conseguenza si è smarrito il sacro simbolo del rifugio, del posto sicuro, del focolare domestico.
Gli esseri umani sono spesso allo sbando incapaci di relazionarsi col prossimo e ancor meno con se stessi e frequentemente l’unico rimedio sembrerebbe quello di “andar via”, via dalla realtà e via da se stessi sballandosi con alcool e droghe.
La famiglia è una cellula malata, ma rimane comunque un micro/sistema modello per i macro/sistemi sociali. Tutta la decadenza del micro/famiglia è presente nelle sue proiezioni quali: aziende varie, luoghi di istruzione, luoghi di cura, luoghi di svago, ambienti dell’arte, dello spettacolo, ambienti politici.
Proprio come in famiglia i personaggi più in vista e con maggiori poteri, danno spesso pessimi esempi, tradiscono, abusano, approfittano, si dimostrano irresponsabili ed incapaci, indegni, piccoli dentro e arroganti fuori. Molti ambienti di lavoro sono malati come confermano le nuove patologie sociali: mobbing, burn out, stolking. La mancanza di risorse affettive ha inceppato la macchina educativa e formativa della persona producendo danni emotivi a grappolo com’è dimostrato dall’aumento dei disagi psicologici e comportamentali nella nostra epoca ed a qualunque età della persona.
La cattiva educazione di cui sopra, nel mondo del lavoro, da luogo a danni soprattutto qualitativi: mancanza di stile e mancanza di competenze. Molto spesso quando il disoccupato cerca lavoro appare come innamorato, brama la possibilità di un esito positivo, di un’assunzione posponendo la sua felicità a tale esito, appare ansioso e disposto a tutto per ottenere il posto di lavoro, ma quando lo ha trovato inizia a lamentarsi, a lagnarsi, ad elencare le sue fatiche di ercole, ad elencare gli aspetti spigolosi ed atteggiandosi ad “albero della nave”.
Lavoro quindi motivo d’odio e d’amore o solo capro espiatorio di un ben più ampio disagio cronicizzando nella persona?
Dott.ssa Elisabetta Vellone