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Le calorie – Quanto serve contarle?

Creato il 07 giugno 2013 da Ariannarossoni

Molto spesso le persone che si mettono a dieta fai-da-te adottano il metodo del conto delle calorie: togliere 14 kcal di qui e aggiungere un etto di zucchine di lì, controllare se i crackers contengono 114 o 121 calorie al pacchetto, scegliere la mozzarella light, fare snack con barrette di cereali che hanno meno calorie di una mela… Le noci assolutamente no perché sono troppo caloriche, e anche il salmone! Però un cioccolatino senza zucchero può andare bene, sono meno di 25 kcal a pezzo… E se oggi si sforano le 1300 kcal, domani ci si mantiene sotto le 1000, tassativamente.

Quando sento frasi simili a queste rabbrividisco: sono quanto di più lontano possa esistere dal concetto di alimentazione sana ed equilibrata, e denotano uno scarso amore per il cibo. Ma cosa più importante di tutte, la conta delle calorie è anche il metodo più sbagliato per perdere peso.

Le calorie non sono che una minima parte di quello che determina un’alimentazione sana.

Vediamo perché la mera conta calorica ha più aspetti negativi che non positivi.

Le calorie – Quanto serve contarle?

Punto primo: su che basi si decide il range quotidiano di calorie? Perché lo si è letto su un giornale, forse. Oppure perché l’amica dell’amica seguendo una dieta da 1200 kcal ha perso 5 chili in un mese. Oppure, perché usando un programmino su internet si è ottenuto quel valore. In qualsiasi modo si siano decise le calorie, vi è buona probabilità che si stia sbagliando in partenza: il valore calorico di un’alimentazione deve essere una conseguenza della valutazione del fabbisogno di nutrienti, e mai un punto di inizio. In altre parole, una dieta deve essere imbastita andando a stimare il fabbisogno quotidiano di grassi, proteine e carboidrati, e inserendo man mano quelle combinazioni alimentari che soddisfano questo fabbisogno. Partendo da un mero valore calorico è estremamente facile sbagliare completamente la ripartizione dei nutrienti: lo sbaglio più comune, ad esempio, è quello di restringere eccessivamente i grassi (o peggio abolirli completamente) perché “troppo calorici”. Ricordate l’articolo sulle conseguenze delle diete drastiche? Eliminare i grassi è molto pericoloso per almeno tre motivi: solo grazie ai grassi riusciamo ad assorbire certe vitamine, i grassi contribuiscono in larga parte a non bloccare il metabolismo, i grassi hanno importanti funzioni organiche (ad esempio, sapete che restringere troppo le fonti di grassi può determinare un netto calo della libido?).

Punto secondo: una caloria non sempre equivale ad una caloria. Cosa voglio dire? Che a seconda della fonte e del momento in cui si assumono calorie l’effetto metabolico sarà differente. Ad esempio, quando si mangia dopo lo sport si favorirà il ripristino delle scorte di glicogeno che si sono assottigliate con l’attività fisica: una persona che per dimagrire si mette a correre a perdifiato più volte a settimana senza compensare adeguatamente le energie spese si sentirà stanco, apatico e costantemente a terra nel giro di pochi giorni. Se invece mangia dopo aver fatto sport riuscirà ad ottimizzare il suo dimagrimento.
Altro esempio: assumere 100 calorie dalla frutta e 100 calorie da una barretta di cereali non è la stessa cosa, sebbene entrambi gli alimenti siano fonte principalmente di carboidrati. La frutta è infatti costituita anche da fibra, che rallenta il rilascio di zuccheri nel sangue e promuove una sazietà più prolungata; al contrario, la barretta di cereali determina un rapido rilascio di zuccheri e non ci sazierà, lasciandoci insoddisfatti.

Le calorie – Quanto serve contarle?

Punto terzo: il conto delle calorie semplifica eccessivamente il mangiar sano. I motivi sono due: in primo luogo una persona che conta le calorie sceglierà un prodotto sulla base del suo contenuto calorico, e non in base agli ingredienti. Sarà pertanto attratta da tutti i prodotti “senza” (senza grassi, senza zuccheri), non rendendosi conto che nella maggior parte dei casi questi ultimi hanno una lista ingredienti due volte superiore a quella dello stesso prodotto in versione non ipocalorica. Prendiamo un gelato normale e un gelato light: hanno simile consistenza e simile gusto, ma com’è possibile dal momento che la versione light è stata privata dei grassi, ossia di quella componente che dà sofficità e golosità? Sono inevitabilmente stati introdotti additivi che simulino l’azione dei grassi, additivi chimici il cui accumulo organico non è di certo salutare. Non perdiamo di vista anche un altro importante fattore: i grassi servono a promuovere la sazietà. Se priviamo un alimento dei grassi la nostra sazietà sarà differente che non consumandolo nella sua interezza. Qualche esempio? Lo yogurt intero e lo yogurt magro, l’uovo intero e il solo albume, la mozzarella light e la mozzarella normale.
Ricordiamo:

Un alimento è più sano e meno processato tanto minore è la sua lista-ingredienti; un alimento è migliore nella sua versione “integrale” che nella sua versione ipocalorica.

Detto questo, non confondiamo i grassi aggiunti con quelli intrinsecamente contenuti nell’alimento: non perché i grassi promuovono la sazietà siamo autorizzati a mantecare il risotto con un etto di burro, ad esempio…

Punto quarto: contare le calorie ha un notevole effetto anche sul nostro umore e sul nostro rapporto con il cibo. Contare le calorie fa in modo che una persona si focalizzi su quanto sta mangiando e non su quello che sta mangiando: questo può precludere un rapporto positivo con il cibo, poiché invece di vederlo come nutrimento lo vedremo come fonte d’apprensione e d’angoscia. Ci si priva del cibo di cui non si conosce la composizione calorica, si rinuncia a cene fuori per timore di eccedere oltre a quel fantomatico “valore soglia”, e si comincia a vedere il cibo come un nemico con cui combattere.

Contare le calorie aggiunge un macchinoso lavoro mentale in una quotidianità già di per sé piuttosto frenetica. Contare le calorie richiede che i pasti vengano accuratamente pensati (e pesati) in anticipo, magari anche il giorno prima o due giorni prima. E cosa succede quando ci accorgiamo di aver finito la pasta, i crackers o -peggio- che qualche altro componente della famiglia si è mangiato l’ultimo dolcetto ipocalorico che avevamo riservato per la merenda? Contare le calorie genera stress e mette di malumore, impone un rigido controllo che ci fa sentire fuori in colpa appena molliamo la presa e tentiamo di gustarci una coppetta di gelato o un piatto di pasta al ragù: prima ancora di addentare la prima forchettata, pensiamo “ma me lo posso permettere?” ed elaboriamo un rigido piano d’attacco per tagliare calorie sugli altri pasti della giornata.

Le calorie – Quanto serve contarle?

E dopo tutto lo sforzo fatto per contare le calorie e far quadrare i conti, scopriamo che la conta calorica è estremamente inaccurata! Se ci affidiamo alle tabelle di composizione degli alimenti dobbiamo tenere conto che si tratta di valori medi, che non necessariamente rispecchiano il contributo calorico fornito dalla pesca o dalla melanzana che abbiamo tra le mani: il grado di maturazione, la percentuale di acqua, il terreno su cui gli ortaggi crescono incide sul loro tenore glucidico e proteico, e di conseguenza sulle calorie che contengono. Oltretutto, le attuali tabelle di composizione presenti in Italia sono piuttosto datate, dunque i valori andrebbero rivisti e aggiornati per poter essere maggiormente affidabili.

Ma la cosa più deleteria del conto delle calorie non l’ho ancora detta.
Contare le calorie interferisce con l’alimentazione intuitiva. L’uomo è per natura un mangiatore intuitivo: anche qualora non conoscesse nulla riguardo a calorie, carboidrati, grassi e proteine, sarebbe capace di regolarsi in modo naturale cibandosi di quegli alimenti che soddisfano il suo fabbisogno. Questo meccanismo di autoregolazione è particolarmente lampante nei neonati, che smettono di poppare il latte semplicemente quando sono sazi. Allo stesso modo i bambini piccoli possono fare i capricci a tavola, ma quando hanno veramente fame non hanno problemi a mangiare qualsiasi pietanza. Pensiamo anche ai nostri nonni o bisnonni: pur non sapendo che la carne è composta da proteine e le patate di carboidrati avevano certamente meno problemi di noi nel loro rapporto con il cibo.
Contare le calorie va a squilibrare il meccanismo di autoregolazione in un duplice modo: prima di tutto una persona che conta le calorie sarà tentata di comprare in prevalenza quegli alimenti dei quali è possibile conoscere il contributo calorico esatto, vale a dire alimenti confezionati. Il cibo industrializzato è fatto con materie prime raffinate, elaborate, non fresche e povere di minerali e vitamine: più il nostro corpo ne mangia più ne mangerebbe. E questo chiaramente interferisce con l’autoregolazione.
Non solo. Una persona che conta le calorie smette di mangiare quando il piatto è vuoto, non quando è sazio. Che abbia mangiato un chilo di verdure o una fettina di carne ai ferri, quello è il suo pasto in quanto quello è ciò che gli permette di bilanciare le calorie quotidiane. Non aggiunge e non toglie nulla per timore di dover rivedere anche gli altri pasti della giornata. Se si trovasse nella situazione di doversi autoregolare senza conoscere il contributo calorico di quello che ha nel piatto, saprebbe riconoscere il senso di sazietà? Una persona che usa come metro di misura la conta calorica è ancora in grado di autoregolarsi?
L’alimentazione intuitiva è di gran lunga preferibile al conteggio delle calorie: mangiare a seconda di quello che il proprio corpo chiede, non in base all’implacabile responso di calcoli matematici.

Le calorie – Quanto serve contarle?

Ultimo spunto di riflessione: chi è ossessionato dalle calorie che introduce spesso è ossessionato anche da quelle che brucia. Conosce il consumo calorico di un’ora di tapis roulant a pendenza 1% e a pendenza 6%, sa quanto brucia dopo un’ora di cyclette a 20 km/h ed è abbastanza certo di quello che è in grado di smaltire in 45 minuti di nuoto a stile libero.
Dirvi che anche questi calcoli sono pressoché inutili è superfluo, vero?


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