Spesso si sente qualcuno che dice: a cosa serve studiare i classici, a cosa serve studiare la filosofia, a cosa serve studiare la matematica?
Porre queste domande (evidentemente retoriche, per chi le pone) significa ritenere che la filosofia, il latino, il greco, la geometria, siano cose inutili, non servano a niente.
Ancor prima di cercare di controbattere a questo tipo di domande, imbarcandosi in lunghe, ma inutili, discussioni, bisognerebbe cercare di capire qual è il senso di quel “serve”.
A che cosa pensa, chi pone questo tipo di domande, quando chiede, per esempio, se sia utile la filosofia?
Qual è il fine al quale ritiene che questa “utilità” debba essere collegata?
Essere utile per cosa? Servire a cosa?
Il problema è che, specialmente in un’epoca come quella attuale, nella quale si tende a monetizzare qualsiasi cosa, quando si parla di utilità si sottintende, sempre e comunque, un fine pratico, concreto, e per di più raggiungibile in brevissimo tempo.
Quando si usa il termine “utile” si pensa cioè a qualcosa che abbia un valore economico, a qualcosa che sia valutabile unicamente in termini di danaro, non a caso considerato il metro per misurare qualunque cosa.
E così chi domanda “a cosa serve questa cosa?” in realtà intende sapere “quanto danaro mi consente di ottenere?”
Non lo sfiora minimamente l’idea che nella vita ci sono cose che hanno tante finalità ma non quella di fare danaro, che studiare i classici, la filosofia, la matematica, ha un enorme valore in sé, che a questo valore non è associato alcun prezzo.
Non conosce, per esempio, il valore di pensare con intelligenza, di essere curiosi, di avere lo stimolo della conoscenza, di andare alla ricerca del perché delle cose, di vivere una vita autentica, originale, non secondo quel che si dice e quel che si fa.
Uno che non dava molta importanza agli aspetti pratici di quello che insegnava era certamente Euclide.
Si racconta che quando un suo allievo gli chiese a cosa servisse studiare la geometria, quale fosse l’utilità pratica di tutti quei teoremi, il grande matematico gli fece dapprima dare una moneta, visto che quel ragazzo aveva bisogno di trarre guadagno da ciò che imparava, e quindi lo fece cacciare via, dal momento che, con quella domanda, quel ragazzo si era dimostrato incapace di comprendere il significato e il valore senza prezzo del sapere.