7. A Serbian Film: l’ipocrisia ruffiana
A serbian film (Srpski film, 2010), opera prima di Srdjan Spasojevic, ha suscitato il prevedibile clamore ed è da molti considerato uno shocker, nel trattare una tematica delicatissima quale la pedopornografia senza risparmiare sequenze forti, dunque aggredendo lo spettatore. La pellicola narra la storia di Milos (Srdjan Todorovic), attore porno ritiratosi dalle scene, sposato e con un figlio di sei anni, che in seguito a problemi economici accetta una cospicua e misteriosa offerta dal bizzarro e ambiguo produttore Vukmir; scoprirà, in seguito, che dovrà prendere parte a una pellicola in cui snuff, pedofilia e necrofilia si mescolano, e sarà troppo tardi per uscirne. A serbian film è ben girato, recitato in modo efficace, con attori convincenti, e una buona sceneggiatura ma c’è qualcosa che non va, la sensazione che qualcosa non torni: è il tipico scandalo studiato a tavolino nei minimi dettagli, shocker patinato e finto che risulta non solo irritante, ma anche ipocrita, nello sfruttare tematiche così pesanti e di sicura presa verso il pubblico. Il regista lo ha definito “il diario delle angherie inflitteci dal Governo Serbo, il potere che obbliga le persone a fare quello che non vogliono fare, devono sentire la violenza per capirla”, ma non è facile credergli, poiché avrebbe potuto utilizzare altre modalità per far giungere il proprio messaggio. Il punto non è nella violenza, seppur presente e disturbante ma quasi grottesca (la scena del “newborn porn” assume tratti davvero poco credibili), ma nel modo in cui viene usata, nella furbizia ruffiana del mettere in campo tutti gli elementi più disturbanti (bambini, snuff, necrofilia) e nel renderli pregni di emotività, prendendosi gioco dello spettatore e della sua lucidità di giudizio.
E’ un tipo di cinema estremo non nella forma, patinata e addomesticata, bensì nei contenuti, e manca di una componente fondamentale: l’onestà intellettuale. Negli anni ’70 i benpensanti si indignavano per pellicole come Last house on the left, e negli ’80 per i cannibalici, ma erano opere che non si travestivano, non dissimulavano, erano prive della pretesa di sembrare ciò che non erano: avevano il dono della sincerità. A serbian film si nasconde dietro l’autorialità e la buona tecnica ma è exploitation nel senso negativo del termine: non solo sfrutta tematiche che non andrebbero toccate, ma si fa forza dei punti deboli dello spettatore al fine di spacciarsi per ciò che non è, ossia una pellicola di valore.
8. Conclusioni:
Sono dunque molteplici e variegati i fattori che stanno alla base del declino, seppur in alcuni casi solo apparente, della cinematografia dell’estremo: dalle diverse modalità di fruizione fino alla desensibilizzazione verso la violenza, passando per l’involuzione nella morale comune, divenuta più rigida e bacchettona. Le leggi italiane sulla censura sono rimaste immutate negli anni, per la precisione dal 1962, e la regolamentazione riguardante le fasce protette in ambito televisivo (1995) si è assoggettata a logiche di mercato, legate ai costi degli spot pubblicitari. La BBFC, commissione censoria britannica, responsabile del caso dei Video nasties, che negli anni ’80 mise al bando un numero spropositato di pellicole, continua imperterrita a sforbiciare per futili motivi, e pellicole di culto come La casa di Sam Raimi hanno visto la luce in DVD solo in tempi recenti, dopo ban durati dieci anni.
La rilassatezza di costumi che caratterizzava gli anni ’70, talvolta anche eccessiva, si è tramutata nell’esatto opposto, in un pruriginoso moralismo che agisce però in modo selettivo, dando il via libera a determinati contenuti e mettendo il bavaglio ad altri, sicuramente meno dannosi ma considerati di nicchia, dunque potenzialmente non remunerativi. Lo spettatore è ora sicuramente più avvezzo al cruento, assai più smaliziato, ma soprattutto meno empatico: la diffusione di film a contenuto non solo sempre più violento ma in primis senza alcun filo logico spinge a porsi delle questioni sul confine tra visione e voyeurismo, e sulla qualità di quest’ultimo. Cosa cerca il pubblico di film come August underground e, in primis, come li percepisce?
La leggenda urbana degli snuff movies e la curiosità cresciuta attorno ad essa ha indubbiamente giocato un grosso ruolo nel successo di prodotti ad alto tasso di ultraviolenza; leggenda che purtroppo non è tale, poiché sono innumerevoli i video di morte vera che circolano in internet: torture a prigionieri di guerra, esecuzioni, decapitazioni, spesso materiale mostrato nei telegiornali. Nel 2012, l’ex modello e attore porno canadese Luka Magnotta, ha torturato, ucciso e fatto a pezzi uno studente, compiendo atti di cannibalismo e inviando alcune parti del corpo e scuole e sedi di partito: il tutto filmato da una videocamera, e facendo pubblicare il video sul sito canadese Best Gore, per la “gioia” di coloro che non aspettavano altro, qualcosa di vero e reale.
La funzione primaria dell’horror è quella di catarsi e sfogo, di paura come intrattenimento, sicura perché costruita dunque non minacciosa. Ma cosa succede quando si travalica il confine e in cosa consiste? Il sadismo è uno di questi, la violenza decontestualizzata un altro. Il cinema è da sempre lo specchio del proprio tempo, e questo vale anche per le frange più al limite.
Per dieci persone che davanti a un incidente stradale passeranno oltre, ce ne sarà sempre una che si fermerà, e che vorrà sollevare il lenzuolo da quel cadavere.
Chiara Pani
Ringraziamenti
-Il volume Sex and violence: Percorsi nel cinema estremo, di Roberto Curti e Tommaso La Selva (Lindau, 2004), per essere stato preziosa fonte di consultazione
- Il sito www.exxxagon.it , altro riferimento importante per alcuni titoli e sottogeneri
- Eugenio Ercolani, che mi ha dato modo di far prendere corpo a questo progetto che si agitava nella mia mente ormai da molto tempo.
Tutte le parti dello speciale:
Introduzione: le derive dell’estremo
Parte 2: Rape and revenge
Parte 3: Guinea pig e il cinema estremo giapponese
Parte 4: Lo splatter classico e le nuove pieghe della violenza