Magazine Per Lei
Ma succede solo a me? Bah...
Le letture di Febbraio, tranne qualche eccezione, erano state decisamente impegnative, per questo nell'ultimo mese ho optato per romanzi che fossero per lo più fonte di svago, scegliendo autori che già conoscevo e dai quali sapevo cosa aspettarmi.
Di nuovo si tratta di libri in versione eBook. Leggere con il Kindle è certamente più comodo per chi, come me, legge principalmente la sera (o la notte) a letto.
Quindi, mettevi comodi e cominciamo.
- Come la prima volta di Nicholas Sparks
TRAMA (da Amazon)
Nessun matrimonio è perfetto. Ma Wilson Lewis ha sotto gli occhi l'eccezione che conferma la regola: il suocero Noah Calhoun, la cui struggente storia d'amore è stata narrata in "Le pagine della nostra vita". Ora, arrivato alla mezza età e messo di fronte alla prospettiva delle nozze della figlia, Wilson riflette sul proprio rapporto con la moglie Jane. Così scopre che lei è infelice, e la colpa è tutta sua. Adesso lei gli sembra all'improvviso lontana, forse irraggiungibile. Non gli rimane che ricorrere alla saggezza di Noah per riconquistare Jane e ritrovare la suggestione dei primi tempi. Un romanzo che mostra come il corteggiamento sia un'opportunità costante per vivere l'incanto di quella "straordinaria normalità" che è l'amore.
C'è stato un periodo, moltissimi anni fa, in cui Nicholas Sparks era diventato una dipendenza vera e propria, tutta colpa di mia cugina Luisa che mi fece vedere "Le parole che non ti ho detto". Adoravo letteralmente il suo modo di raccontare l'amore, il dolore, la perdita, la morte. Sì, io sono una da storie romatiche e strappalacrime e quelle di Sparks sono semplicemente splendide. Vogliamo parlare dei film che ne sono stati tratti?
Dopo aver letto buona parte della sua bibliografia, ho accantonato i suoi romanzi per un bel po' di tempo fino al primo Marzo, giorno in cui ho deciso di riprendere in mano qualcosa di suo. Tra i tanti titoli che comparivano sul mio Kindle, ho scelto "Come la prima volta" in quanto è una sorta di seguito (ma può benissimo essere letto come storia a sé) de "Le pagine della nostra vita", da cui è stato tratto l'omonimo film con Ryan Gosling e Rachel McAdams:
Devo ammettere che "Come la prima volta" è stato decisamente meno intenso degli altri romanzi di Sparks, ma non per questo meno piacevole. Credo che il motivo sia che non narra, come gli altri, di quell'amore travolgente, passionale, magari proibito, che riesce a coinvolgere il lettore ed emozionarlo dalla prima pagina, no, questa è la storia di un rapporto logorato dal tempo e dalla routine, è una fiamma che si sta spegnendo e sembra che non si possa fare nulla per evitarlo. Ma Wilson non la pensa così e lo sguardo deluso e rassegnato di sua moglie è quanto di più doloroso esista e lui non si rassegna a dover vedere e provare quel dolore. Lentamente, aiutato dal suocero, il Noah de "Le pagine della nostra vita", Wilson comincia a cambiare, cerca di capire cosa possa riaccendere lo sguardo di sua moglie. E quale occasione migliore del matrimonio della loro figlia?
Un piano architettato ad arte per dimostrare a Jane che il suo amore è più forte del tempo.
VOTO: 3,5/5
- Le affinità alchemiche di Gaia Coltorti
TRAMA (da Amazon)
Giovanni ha diciotto anni, trascorsi quasi tutti a Verona, dove è nato. Una vita tranquilla, qualche amico e, ogni giorno, i lunghi allenamenti in piscina per prepararsi alle gare. Anche a casa regna la quiete: Giovanni vive solo con suo padre, notaio, in quel genere di grande appartamento abitato da due uomini che ogni donna può immaginarsi. Selvaggia ha diciotto anni, molte amiche e diversi spasimanti, vive sul mare e assapora l'estate appena iniziata quando sua madre le sconvolge la vita: si trasferiranno per ragioni di lavoro. Selvaggia cambierà scuola, dovrà ricominciare tutto da capo e lo dovrà fare a Verona, la città dove è nata e da cui proprio la mamma, tanti anni prima, l'aveva portata via, separandola dal padre e dal fratello gemello. Quando Selvaggia varca per la prima volta la soglia della nuova casa, Giovanni è rintanato in camera sua. Gli basta la voce di lei per capire che nulla sarà più come prima. Giovanni scopre quella voce come un regalo, ma al tempo stesso la riconosce, è un suono che vive da sempre dentro di lui: Selvaggia, la sorella perduta, è tornata nella sua vita, per sempre. Lei a Verona non conosce nessuno: solo Johnny - come lo ha subito ribattezzato - può farle da guida e tenerle compagnia nei tre lunghi mesi che devono trascorrere prima della ripresa scolastica. Selvaggia è bellissima, piena di fascino ma anche capricciosa fino allo sfinimento, croce e delizia per il fratello ritrovato. Presto tra i due si sprigiona un'elettricità, un magnetismo, un'affinità che ha un solo nome, per loro impronunciabile: desiderio. Questo romanzo è la cronaca dell'amore tra due ragazzi che si affacciano alla vita, un amore meraviglioso e impossibile nel modo più crudele, perché non è la diversità a separare i due innamorati - non sono una sirenetta e un principe, un vampiro e una fanciulla - ma, proprio nella terra dei Montecchi e dei Capuleti, è la vicinanza assoluta a condannarli. Densissimo di echi letterari eppure diretto come il diario di un teenager, Le affinità alchemiche ha il candore e l'intensità per rinnovare nel nostro cuore un'emozione senza tempo, per ammaliarci ancora una volta con il miracolo e la tragedia della seduzione. Selvaggia e Johnny: ricordatevi questi nomi, la loro fiamma brucia alta nel cielo.
Il grande, immenso, inenarrabile FLOP del mese. Io non mi capacito che si possano pubblicare robe del genere e farle passare anche per "caso editoriale"!
La scrittura di questa ragazza (la Coltorti ha scritto 'sta cosa a 17 anni, adesso probabilmente ne avrà 18...) viene definita "densa di echi letterari". No ma... SERIOUSLY???? E perché poi? Perché ogni tanto ci butta qua e là qualche riferimento al povero bistrattato Shakespeare? Ah no, c'è anche qualche altro riferimento letterario che ora mi sfugge, probabilmente perché il mio cervello ha deciso di rimuovere questa brutta esperienza. Comunque nulla che un buon uso di Google o Wikiquote non possa fare, in più si tratta di riferimenti inseriti in un contesto talmente dissonante da risultare solamente fastidiosi.
Il linguaggio è al limite del ridicolo, ma magari qualcuno potrebbe definirlo aulico e, visto che è inspiegabile a parole, vi riporto qualche esempio:
Immersi nel caròntico silenzio
Con energica doglianza avevi chiuso il germanico bagagliaio
Avevate preso posto al tavolo prenotato da papà, i parents seduti l’uno di fronte all’altra e tu davanti a Selvaggia
«A proposito, Giovanni: e le ragazze? Come va, con le ragazze?» aveva chiesto, trionfando dietro un sorriso di marzapane, father Daniele. (e qui non so se mi sconvolge di più il "sorriso di marzapane" o "father Daniele"!)
Sul tardi, avevate raggiunto la camera da letto, ove un’adatta forma di catatonica dormienza vi aveva colto, ponendo fine alla vorticosa quantità di tormenti ed estasi della giornata.
Era la prima volta che Selvaggia si confidava con te in termini sentimentali (arcigasp!)
Di nuovo à la maison,
Nel pomeriggio, ottenuto in prestito il paterno carro, avevate raggiunto gli impianti di Misurina.
Che dire... Si commenta da solo. La gastrica patologia che attanaglia oramai da tempo le mie viscere si è elevata a livelli inenarrabili durante la lettura di cotanto capolavoro.
VOTO: 0/5
- Certe ragazze di Jennifer Weiner
TRAMA (da Amazon)
Una madre che da tempo ha archiviato successo, linea, ma non passione e buon umore. Una figlia in piena crisi adolescenziale che vorrebbe solo scappare. Un marito, adorato, che si mette a fare i capricci. E la vita con tutto il suo carico di gioia e dolori. Con una verve impareggiabile, una delle autrici più tradotte al mondo ci regala un bestseller tenero e brillante.
Quando mi capita di ricordare il primo lbro della Weiner che ho acquistato non posso fare a meno di ridere e scuotere la testa. "Brava a Letto"mi aveva colpita, in libreria, per il suo formato piccolo e compatto e per i colori della sua copertina. Ricordo ancora gli sguardi delle persone che passavano accanto a me mentre lo sfogliavo e leggevo la trama, lo sguardo della commessa della Feltrinelli e non ultimo quello di mio padre quando mi vide spoltronata e immersa nella lettura.
Contrariamente a quanto si possa pensare "Brava a letto" non è un manuale per insegnare alle fanciulle come soddisfare il proprio fidanzato/compagno/marito e chi si aspetta qualcosa del genere può assolutamente lasciare il libro lì dove lo ha adocchiato. "Brava a letto" è la storia di Cannie e del suo sovrappeso, del modo in cui il peso ha condizionato la sua vita e le sue relazioni fino al momento in cui scopre che il suo ex ha avuto la fantastica idea di pubblicare un articolo che parla di lei e di intitolarlo, appunto, "Brava a letto. Amare una donna abbondante":
Non dimenticherò mai il giorno in cui scoprii che la mia ragazza pesava più di me. [...] Amare una donna grassa è un atto di coraggio nel mondo in cui viviamo. [...] Non sono mai stato un estimatore della ciccia. Ma quando conobbi C. il suo spirito, la sua risata, i suoi occhi sfavillanti mi fecero innamorare. Con il suo corpo, pensai, avrei imparato a convivere.
Da qui in poi, il romanzo racconta il percorso che Cannie dovrà fare per imparare ad accettarsi e volersi bene per quella che è, cercando di superare i grandi dolori che hanno segnato la sua infanzia e la sua adolescenza, quasi tutti legati al suo essere grassa.
"Brava a letto" rientra assieme agli altri romanzi delle Weiner nella cosiddetta Chick lit, letteralmente "letteratura per pollastrelle", un genere talvolta bistrattato che include la più famosa Sophie Kinsella ed affonda le sue radici nel passato con nomi altisonanti come Jane Austen e Anita Loos. Si tratta di romanzi senza ombra di dubbio rivolti ad un pubblico femminile, caratterizzati da una scrittura semplice e scorrevole, umorismo e irriverenza soprattutto nei confronti di argomenti come il sesso.
Nonostante, a mio parere, la Weiner non abbia uno stile paragonabile a quello della Kinsella, che adoro, riesce in maniera più efficace, rispetto a quest'ultima, a dare un'impronta più realistica ai suoi personaggi. Così, mentre difficilmente potremmo rispecchiarci in Becky e nelle sue follie da shopaholic, è davvero facile e quasi naturale ritrovarci nei problemi e nelle paranoie di Cannie, soprattutto per chi, come me, ha vissuto un bel po' di tempo in compagnia di quei chili di troppo, pesando più del proprio fidanzato.
"Certe ragazze" è il seguito di "Brava a Letto". Ritroviamo Cannie moglie e madre, alle prese con una figlia adolescente e decisamente problematica, che, ritrovato il romanzo che ha scritto anni prima, comincia a costruirsi un realtà in cui il peso della madre è qualcosa di cui vergognarsi, in cui lei stessa non è poi così desiderata come i suoi genitori le avevano sempre fatto credere, in cui l'apparenza diventa qualcosa di fondamentale, anche a scapito delle amicizie più importanti.
Anche in questo caso si è trattato di una lettura molto piacevole e disimpegnata, che mostra però in più occasioni notevoli spunti di riflessione. Non mancano i sorrisi, sicuramente, ma anche le lacrime trovano posto in una storia raccontata davvero molto bene dalla Weiner.
VOTO: 4/5
- Io prima di te di Jojo Moyes
TRAMA (da Amazon)
A ventisei anni, Louisa Clark sa tante cose. Sa esattamente quanti passi ci sono tra la fermata dell'autobus e casa sua. Sa che le piace fare la cameriera in un locale senza troppe pretese nella piccola località turistica dove è nata e da cui non si è mai mossa, e probabilmente, nel profondo del suo cuore, sa anche di non essere davvero innamorata di Patrick, il ragazzo con cui è fidanzata da quasi sette anni. Quello che invece ignora è che sta per perdere il lavoro e che, per la prima volta, tutte le sue certezze saranno messe in discussione. A trentacinque anni, Will Traynor sa che il terribile incidente di cui è rimasto vittima gli ha tolto la voglia di vivere. Sa che niente può più essere come prima, e sa esattamente come porre fine a questa sofferenza. Quello che invece ignora è che Lou sta per irrompere prepotentemente nella sua vita portando con sé un'esplosione di giovinezza, stravaganza e abiti variopinti. E nessuno dei due sa che sta per cambiare l'altro per sempre. "Io prima di te" è la storia di un incontro. L'incontro fra una ragazza che ha scelto di vivere in un mondo piccolo, sicuro, senza sorprese e senza rischi, e un uomo che ha conosciuto successo, la ricchezza e la felicità, e all'improvviso li ha visti dissolversi, ritrovandosi inchiodato su una sedia a rotelle. Due persone profondamente diverse, che imparano a conoscersi senza però rinunciare a se stesse, insegnando l'una all'altra a mettersi in gioco.
Se avete letto "Il Diavolo Custode" o avete visto "Quasi Amici" e vi sono piaciuti, non potete non leggere questo splendido romanzo.
Ovviamente ve lo consiglio a prescindere!
Come per molti dei libri che ho letto nell'ultimo periodo, la voglia di prendere in mano "Io prima di te" mi è venuta leggendo la recensione di Monica di BooksLand ed è esplosa leggendone ancora sul blog di Francesca di Cosa stai leggendo?.
Effettivamente, dopo averlo finito, con gli occhi ancora colmi di lacrime, ho capito cosa voleva dire la zia mia quando raccontava la difficoltà di commentare, recensire, parlare di questo libro. Non è facile. Non è facile leggerlo, non è facile digerirlo.
La tetraplegia di Will non è solo l'impossibilità di muoversi, ma è la rabbia che ti corrode l'anima, la stanchezza che ti intorpidisce il cervello, la depressione che oscura il cielo. Louisa è invece un sole caldo ed inaspettato che si insinua nella coltre spessa di nubi. E quel calore, così piacevole, è quasi insopportabile. Perché Will ha fatto una scelta, difficile da accettare, impossibile da capire, ma l'ha fatta. Al lettore non rimane che scoprire se l'amore sarà in grado di cambiare la meta del viaggio.
VOTO: 5/5
- Wintergirls di Laurie Halse Anderson
TRAMA (da Amazon)
Lia e Cassie sono amiche dall'infanzia, ragazze congelate nei loro fragili corpi, in competizione in un'assurda gara mortale per stabilire chi tra loro sarà la più magra. Lia conta maniacalmente le calorie di tutto quello che mangia e di notte quando i suoi non la vedono si sfinisce di ginnastica per bruciare i grassi. Le poche volte che mangia, cerca di ingerire cose che la feriscono, come cibi ultrapiccanti, in modo da "punirsi" per aver mangiato. Si ingozza d'acqua per ingannare la bilancia nei giorni in cui la pesano. Quando eccede nel cibo ricorre ai lassativi e passa il tempo a leggere i blog di ragazze con disturbi alimentari che si sostengono a vicenda. Nel suo libro più toccante e poetico dopo Speak, finalista al National Book Award, L. H. Anderson esplora l'impressionante discesa di una ragazza nel vortice dell'anoressia.
Il modo con cui la Anderson tratta i problemi ed il mondo degli adolescenti è, a mio parere, impareggiabile. Lo avevo pensato dopo aver letto "Speak. Le parole non dette" e ne ho avuta la conferma con questo romanzo. Purtroppo la trama che vi ho riportato è, a mio avviso, assolutamente insufficiente per far capire ciò di cui tratta il libro, che si apre con la tragica morte di Cassie, la migliore amica di Lia fino ad un bel po' di tempo prima della narrazione dei fatti.
Mi risulta molto difficile parlare di questo libro. Avrei voluto farne una recensione a parte, ma mi sono resa conto che mi sento troppo coinvolta per poterne parlare senza raccontare cose fin troppo personali e dolorose.
La Anderson si destreggia incredibilmente nel terribile mondo dei problemi alimentari, raccontando la vita di Lia, voce narrante, i suoi problemi, le sue paure, il suo modo di affrontare tutto ciò che non può controllare, esercitando l'unico controllo per lei possibile, quello del peso.
La narrazione è talmente realistica da far sentire il lettore parte della storia. Mentre leggevo era come se i pensieri di Lia fossero i miei, era come se ciò che a lei appariva naturale e giusto, fosse naturale e giusto anche per me. Magistrale anche il modo in cui vengono trattati e descritti gli altri personaggi, tra tutti Cassie.
A tratti crudo, a tratti quasi claustrofobico, Wintergirls non risparmia di certo gli aspetti più tragici di questo disagio, trattandolo nei minimi dettagli, correndo, a mio parere, il rischio di poter essere "fonte di ispirazione" per chi lo dovesse leggere con altri intenti, nonostante si tratti di "informazioni" purtroppo facilmente reperibili su internet (digitate "pro-ana o pro-mia su google e vi si aprirà un terribile mondo!).
VOTO: 4/5
- Noi siamo infinito. Ragazzo da parete di Stephen Chbosky
TRAMA (da Amazon)
Fra un tema su Kerouac e uno sul "Giovane Holden", tra una citazione da "L'attimo fuggente" e una canzone degli Smiths, scorrono i giorni di un adolescente per niente ordinario. L'ingresso nelle scuole superiori lo lancia in un vortice di prime volte: la prima festa, la prima rissa, il primo amore - per la bellissima ragazza con gli occhi verdi che quando lo guarda fa tremare il mondo. Il primo bacio, e lei gli dice: per te sono troppo grande, però possiamo essere amici. Per compensare, Charlie trova una che non gli piace e parla troppo: a sedici anni fa il primo sesso, e non sa neanche perché. Allora lui, più portato alla riflessione che all'azione, affida emozioni, trasgressioni e turbamenti a una lunga serie di lettere indirizzate a un amico, al quale racconta ciò che vive, che sente, che ha intorno. Dotato di un'innata gentilezza d'animo e di un dono speciale per la poesia, il ragazzo è il confidente perfetto di tutti, quello che non dimentica mai un compleanno, quello che non tradisce mai e poi mai un segreto. Peccato che quello più grande, fosco e lontano, sia nascosto proprio dentro di lui.
Mentre leggevo questo libro riuscivo a pensare solamente al fatto che non mi stesse piacendo. Generalmente non amo i romanzi epistolari, è una forma narrativa che difficilmente mi coinvolge, nonostante l'utilizzo della prima persona. Lo stile mi sembrava troppo semplice e banale e la storia procedeva in maniera piatta senza colpi di scena di sorta.
La potenza di "Ragazzo da parete" sta nel realizzare, alla fine della lettura, quanto in realtà il libro sia bello. E' come se la narrazione non faccia altro che preparare il lettore al finale. Lo scorrere delle pagine e delle parole portano al punto di conoscere Charlie alla perfezione, perché è solo a quel punto che si può svelare il più terribile dei segreti, quello che Charlie stesso ha sepolto dentro di sé. E allora tutto acquista un senso, ogni cosa viene vista sotto una nuova luce ed acquista un'importanza che non credevo avesse.
Approfondendo l'argomento, ho notato che è opinione diffusa che la traduzione di questo libro abbia penalizzato decisamente la storia, quindi, se potete, vi consiglio di leggerlo in lingua originale.
Vi lascio anche il trailer dell'omonimo film:
VOTO: 4/5
- Voglio prenderti per mano di Ann Hood
TRAMA (da Amazon)
È una bellissima bimba senza nome quella che Chun tiene tra le braccia. Ancora pochi istanti e dovrà separarsene, avvolgerla nel drappo di stoffa, posarla nella cesta di vimini e allontanarsi in fretta, senza cedere alla tentazione di voltarsi. Perché se il cielo ascolterà le sue preghiere, la porta dell’Istituto non tarderà ad aprirsi e una nuova vita, più bella e più facile, comincerà per la piccola lontano da qui. Dall’altra parte del mondo, in quello stesso momento, Maya Lange sta lavorando perché il sogno di Chun, e di tante altre come lei, possa avverarsi. È specializzata in speranza Maya, fondatrice e proprietaria di un’agenzia di adozioni: grazie a lei, il dolore di una madre si converte nella gioia di un’altra, un destino apparentemente segnato vira di colpo e le fila di vite fino a un attimo prima distanti si intrecciano a formare nuove, indissolubili trame d’amore. Sono più di quattrocento le bambine a cui Maya ha trovato, negli anni, una nuova famiglia, una casa. Di ciascuna lei conserva un ritratto, un ricordo. E nei momenti peggiori, quando le ansie, le paure e i dubbi degli aspiranti genitori minacciano di travolgerla, è sufficiente che Maya guardi i loro visi per ritrovare di colpo la forza di ascoltare, rassicurare, consolare. Perché il solo dolore che Maya abbia rinunciato a curare è quello che si porta dentro, irrimediabile come la perdita che lo ha causato. Ma il destino è un filo impossibile da spezzare, e Maya sta per scoprire chi c’è all’altro capo del suo.
Ho letto moltissime recensioni di questo libro, prima di decidermi a leggerlo, in ognuna veniva descritto come la storia di chi fa di tutto per avere un figlio, o meglio una figlia in questo caso specifico, in quanto "Voglio prenderti per mano" ha come protagonista Maya, presidente dell'associazione "Il filo rosso", che si occupa di trovare una famiglia alle tantissime bambine abbandonate in Cina. In realtà la storia può essere suddivisa in due parti speculari: se da una parte ci sono persone che per svariati motivi hanno deciso di intraprendere un così difficile percorso per poter stringere tra le braccia una figlia, dall'altra c'è la storia tragica di altrettante mamme costrette a strapparsi la stessa bambina dal seno.
Avere una figlia femmina, o peggio più di una, in Cina è un "lusso" che si possono permettere in pochi, per tutti gli altri è una vera e propria disgrazia, tanto che essere abbandonate è quanto di meglio possa capitare alle piccole e innocenti neonate.
Maya crede nel suo lavoro, che per lei è più che altro una missione, un modo forse per redimere la sua colpa e tollerare meglio il suo dolore. Conosce ogni bambina che è riuscita a far adottare, conosce ogni nome, sia cinese che americano, conosce alla perfezione ogni coppia che ha ritrovato il sorriso grazie a lei, sa cosa aspettarsi da un percorso tutt'altro che facile, pronta a rispondere ad ogni domanda, ogni perplessità, pronta ad affrontare qualsiasi paura che potrebbe privare una bimba della propria madre ed una madre della propria figlia.
Una tragedia indimenticabile ed un divorzio doloroso ed inevitabile hanno reso il cuore di Maya incapace di aprirsi a chiunque, ma quando incontra Jack, quell'improvviso bisogno di lui, la voglia di raccontargli il suo lato più oscuro le fanno capire che probabilmente è arrivato il momento di cambiare le cose...
VOTO: 5/5
- Voglio vivere prima di morire di Jenny Downham
TRAMA (da Amazon)
Tessa ha sedici anni ed è condannata dalla leucemia. Sapendo di avere a disposizione solo qualche mese di vita e con tutta la rabbia del caso, decide di stilare una lista di cose da fare prima di morire, che la facciano sentire viva e le diano l'impressione di avere avuto una vita completa. In questa lista, la cosa n. 1 è fare sesso. Poi c'è provare qualche droga; passare un giorno a fare shopping senza limiti, comprandosi tutto quello che vuole; viaggiare; rivedere i suoi genitori (separati) di nuovo insieme. A condividere con lei questi mesi e questi desideri, c'è Zoey, una sua amica un po' "sbandata", che vuole sempre trasgredire e superare i limiti e che Tessa adora perché è l'unica che non la tratta da malata, ma anzi, cerca di farla "sballare" con lei. Inizia così la corsa di Tessa contro il tempo, fra sesso, discoteche, droghe, piccoli furti. Fino al fatale incontro con Adam e con l'amore che strapperà Tessa da ogni paura.
E' più forte di me, nonostante siano devastanti, o almeno per me lo sono, non posso fare a meno di leggere queste storie.
Ciò che differenzia questo libro dagli altri dello stesso tipo, però, è la protagonista, Tessa, per la quale inizialmente ho provato vera e propria insofferenza. Ok, è malata, sta morendo, ma è un irritante concentrato di egoismo e sconsideratezza. Se da una parte è comprensibile che un'adolescente in fin di vita voglia sfruttare il tempo che le rimane per fare quelle esperienze che tutti, o quasi tutti, i ragazzi della sua età fanno, dall'altra è fastidioso vedere come lei usi la sua malattia per ottenere attenzione e spesso anche perdono.
Ma quando poi si continuano a sfogliare le pagine, quando si comincia ad entrare nel mondo di Tessa, la sua fragilità coglie il lettore impreparato. Si viene trascinati improvvisamente in un vortice di dolore e coraggio che fino alla fine ci si aggrappa alla speranza che possa succedere qualcosa che cambi il destino della ragazza.
Notevole, a mio avviso, anche il film che ne è stato tratto, "Now is good", con Dakota Fanning:
VOTO: 4/5
- In verità è meglio mentire di Kerstin Gier
TRAMA (da Amazon)
158 di quoziente intellettivo, plurilaureata, brava musicista, una maga con i numeri, carina, un po' freak e... vedova a nemmeno trent'anni: Carolin trova che la sua vita sia decisamente complicata e che la sua intelligenza rappresenti più che altro un impiccio nella ricerca della felicità. Ha abbandonato il fidanzato Leo per il padre di lui, Karl, uomo ben più affascinante e in grado di apprezzare le qualità di lei. Ma dopo cinque anni Karl muore lasciandola in un mare di guai, primo fra tutti una favolosa eredità di cui Carolin non sospettava l'esistenza, e un esercito di parenti infuriati che la rivendicano. Fra pessime psicoterapeute, farmacisti sospettosi e avvocati minacciosi, Carolin cerca di superare il suo dolore, cavarsi fuori dai guai e, perché no?, trovare l'uomo giusto per lei e a cui non importa se è "troppo" intelligente.
Conoscevo la Gier in quanto il mio amico Micht, e non solo, parla sempre molto bene della "trilogia delle Gemme", ma ultimamente la voglia di cominciare una saga è praticamente pari a zero. Così, quando a Torino ho visto la locandina formato gigante di questo libro, mi è venuta subito una grande voglia di leggerlo, voglia che è aumentata dopo aver letto la trama.
"In verità è meglio mentire" ha concluso piacevolmente le letture del mese scorso, consentendomi di trascorrere qualche ora in relativa spensieratezza.
La storia si basa sul principio che essere se stessi è l'unico modo per poter instaurare dei legami veri e duraturi e che finché non ci si mostra per quello che si è realmente non si potrà mai avere la certezza di piacere, in ogni senso, ad una persona.
Si potrebbe far rientrare "In verità è meglio mentire" in quella Chick Lit di cui vi parlavo prima, in quanto non mancano di certo spensieratezza, ironia, sarcasmo, accanto alla trattazione di tematiche più serie.
VOTO: 4/5
E voi? Cosa avete letto questo mese? Vi incuriosisce qualcuno di questi libri?
Fatemi sapere ché sono curiosa e soprattutto pronta a prendere nota.
Alla prossima
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Inviato il 04 aprile a 13:27
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Ora, il genio di Gaia si muove in direzione opposta alla scrittura usa e getta entrata massivamente in circolo negli ultimi (dieci?) anni, ma tale è la presa che un simile maëlstrom di riduzioni e svanimenti esercita ormai sulla mentalità dei lettori meno avvertiti, da renderli a furia di mazzate anestetizzati, quasi... condotti sulle oniriche palme d’una morte apparente, quasi... È come se, mancando della percettività necessaria alla comprensione della storia d’amore così com’è stata concepita e scritta da Gaia, il pubblico più giovane (e l’amica Michela) ritornassero alla solita storia commerciale romantica e/o“young adult” a cui sono assuefatti, riempiendone automaticamente il guscio vuoto con il vecchio contenuto.
Ora, Gaia possiede il dono di spiegare quel che sta facendo mentre lo fa, in modi la cui forza retorica è tanto sorprendente quanto la ricchezza lessicale. Ma da coloro che non la capiscono, la lingua-cover di cui si sostanzia “Le affinità” appare banalmente appesantita d’ornamenti, un cicaleccio retorico o un “supplemento” che può essere eliminato dal romanzo senza nessun danno. Ma è vero il contrario. Poiché senza quella lingua, il romanzo svanirebbe. Insopportabili sdolcinerie e battute argute, sognanti tenerezze e risate giacintine scambiando baci sotto una luna d’erba nel giardino del padre: oh, persino le bizzarrie (e le incongruenze, persino!) non devono disorientarci – qui – sapendo benissimo che il primo a predisporne ovunque era proprio Shakespeare!
Che dire, poi, della quantità di “avvisi” e “osservazioni rivolte direttamente al lettore” – disseminazione di lampeggianti minimi ma anche uso, alle volte, di grosse segnaletiche stradali verticali – grazie a cui l’autrice stabilisce il proprio rapporto con quest’ultimo, alimentando un dialogo continuo? Di simili “avvisi”, nelle “Affinità alchemiche” ve n’è più di millanta, è proprio vero, ma se per leggere adoperi il solito (omissis), è un momentino fatale che anche il romanzo acquisti ai tuoi occhi quella certa forma da (omissis). Gaia, per dirla coi Maestri, è un giovanissimo e perturbante esempio di quel che nella nostra epoca barbara sembra impossibile: poter affrontare con equilibrio e ironia – IRONIA, gentile amica Michela! – questioni talmente appesantite dal bagaglio al plutonio delle ideologie, che al più timido accenno ci sembra di essere investiti da una valanga.
Cercare di scrivere un romanzo innovativo che prova a rivolgersi al pubblico tradizionale senza scordarsi di quello, non meno fervido, rappresentato dagli “happy few”, i cari pochi sempre volenterosi di intercettare e condividere lo spirito (anche dissacrante, certo) di una ricerca come quella che dà vita alle “Affinità”, ossia a un romanzo miracolosamente condotto a buon fine e del quale Gaia misteriosamente indovina lo scioglimento (Angelo Guglielmi).
La quantità di sorridenti imprestiti e “pazzesche icone” di cui “Le affinità” è scientemente intriso al fine di sgonfiarne – quanto meno per un pubblico di happy few – i romanticismi a più alto tasso colèrico: AMICA MICHELA SAREBBERO DA INTERCETTARSI, BONTÀ DIVINA, E DISAMBIGUARSI E TENERNE CONTO, ALTRIMENTI NON CAPISCI COSA STAI LEGGENDO, NO? Diversamente da così, in modo più scoperto di così, l’edizione Mondadori dovrebbe avvalersi dell’uso di lampeggianti o cicalini disseminati ad hoc e collegati a legende tipo “Qui si ride!”, o “Ghignàre!”, o “Ah! ah! ah! + applausi”, non credi? Viceversa, il critico letterario del Sole 24 ore Carnero R., che con proverbiale finezza d’ascolto ha nella prima decade di febbario recensito il romanzo, deve certamente aver nutrito, quanto a questo, dei suoi sospetti semi-inauditi fin dall’inizio. Bravìsimi ànca lu’.
Ti g’ha’ capìo?
Inviato il 04 aprile a 13:24
Una risposta per le amiche Miki82, Stravagaria, Elisabetta e Malitia (2) di L. e C. Malerba Romanzo mimetico di inusuale complessità, “Le affinità alchemiche” è costruito in modo tale che addentrandoci in esso facciamo ben presto conoscenza d’un vasto intrico di interazioni mimetiche e una lunga escalation di atteggiamenti rivalitari che, giunti al culmine, sviluppano un tale grado di enormità (Angelo Guglielmi), da sfociare in un violento crescendo di disperazione e morte.
Eppure, persino in tanta tragedia, i personaggi delle “Affinità” vengono scopertamente dileggiati, dalla voce narrante, a più riprese. E in effetti, è strano.
Poi, quando cominciamo a percepire la distanza che ci separa dalla concezione del desiderio dell’autrice, con aria di scoglionata sufficienza (Roberto Carnero, Il Sole 24 Ore), o fastidio (Ranieri Polese, Il Corriere della Sera), ricorriamo un po’ fatalmenete all’idea del tutto errata che l’autrice – non sapendo gestire quel che dovrebbe, e facendo ricorso a una lingua volta a volta superficiale e vacua (Carnero), o troppo farcita di gerghi giovanilistici, frasi auliche e pseudo-liriche come nei diari di scuola e luoghi comuni (Polese) – non può indicarci cosa dover credere né in che direzione guardare. Nel frattempo, “Le affinità alchemiche” è, fra le molte altre cose, proprio questo: un tentativo ben riuscito di decostruzione di cliché romantici: te ne rendi conto sempre meglio ogni qual volta, entrando più a fondo nel testo, capisci che non è il Mondo a minacciare-perseguitare i due innamorati, bensì la loro insondabile stupidità:
Quanto a Selvaggia, ebbene, lei era radiosa (sic!). Mai l’avevi vista prima altrettanto capace, nei tuoi confronti, di premurosità e consonanza e affetto, talmente attenta alla tua persona, che il sogno ininterrotto dentro il quale con occhi aperti sognavi, non avrebbe potuto risultare più vivido, mentre lo strapotere della felicità vi rendeva – in modo del tutto inaspettato, certo – quasi idioti (sic!). (pag. 292)
Qui, dopo un crescendo d’atteggiamenti concatenati – la premurosità e l’affetto trasmessi da Selvaggia al fratello, il sognare a occhi aperti di lui e l’essere entrambi immersi nello strapotere della felicità – crescendo che conduce il lettore a un adatto apogeo – ecco l’anticlimax dell’autrice che frappone agli elementi nobili e alati, il basso prosaico del rapido trasformarsi, da parte dei nostri innamorati, in due idioti. Ora – amica Michela e non solo – quanti dubbi potranno mai esservi, sull’eventualità di dover considerare questo romanzo intramato (anche) di istanze parodiche, vibrazioni copertamente (e scopertamente) umoristiche, e persino – come in tanto teatro elisabettiano (Shakespeare incluso) puntualmente accade – satiriche? Incipit del capitolo 50:
Il vostro amore era una catena indistruttibile che insieme vi legava. Sebbene questo strumento sia di solito associato alla prigionia, per voi era divenuto il simbolo di sentimenti viscerali finché si vuole (sic!) e, tuttavia, positivi. Un’ossessione, certo, ma dolce (sic!). (pag. 225)
Sul serio si può leggere una frase che dice “… sentimenti viscerali finché si vuole (sic!) e, tuttavia, positivi (sic! + gulp)”, senza che le labbra s’increspino in un sorriso? Ora, di simili passaggi, nelle “Affinità alchemiche” ve n’è più di millanta! Le variegate critiche che da ogni dove – da parte dei lettori d’opere di consumo più giovani (o di recensori autorevoli in standby) – piovono sulla testa di quest’opera realmente unica, testimoniano (e monumentalizzano) in modo imponenete il tipo d’allergia che essa sembra suscitare, ipso facto, in costoro – le amiche Miki82, Stravagaria, Elisabetta, Malitia e la signora C.L. Cavallaro, ovviamente in primis. Eppure, chi riesce a superare l’ostacolo prova un intenso sentimento di complicità personale con l’autrice, e il suo piacere è duplicato all’idea del proprio isolamento relativo (Girard). Questo – ci sembra così facile percepirlo – è il genere di piacere che stanno gustando determinati lettori più avvertiti e in grado di intercettare un po’ meglio di cosa, alla lettera, qui si tratta: il centro qual è. Poiché se proprio non sbagliamo tutto, ma non crediamo, “Le affinità” è un invito all’uso della perspicacia e un test piuttosto intrigante per verificare la nostra perspicacia mimetica. Diversamente da così, i fraintendimenti più balzani fioccheranno, e l’umorismo involontario di certo romanticismo più o meno supponente tipo quello abitato dall’amica Michela impedirà di gettare uno sguardo un minimo consapevole e avvertito in ciò che realmente – nella pagine di questo splendido romanzo d’esordio – è. Diversamente, vien buono tutto. Compreso, appunto, l’auto-accecamento ultra goffissimo dell’amica Michela...
Inviato il 04 aprile a 11:56
Una risposta per le amiche Miki82, Stravagaria, Elisabetta e Malitia (1) di L. e C. Malerba A quanto comprendiamo, l’amica Michela (?) ha da poco superato i trent’anni – siamo praticamente (quasi) coetanee – e in questa sua selezione di nove romanzi letti nel mese di febbraio ha optato per narrazioni, scrive lei stessa, “che fossero per lo più fonte di svago” – scegliendo autori già conosciuti e dai quali sapeva cosa aspettarsi – anche auto presentandosi come una lettrice “da storie romatiche e strappalacrime”, e una giovane donna che “ha vissuto un bel po’ di tempo in compagnia di alcuni chili di troppo, pesando più del fidanzato”. Dunque, le piace leggere un casino – siamo a una media di un libro ogni tre giorni – e fra i nove titoli che qui ci presenta, figura “Le affinità alchemiche” dell’amica Gaia Coltorti. La Gaiòla nostra! Classe 1991! Mentre il resto degli autori (americani, inglesi e tedeschi) di cui l’amica Michela ci riferisce, risultano nati (i due più giovani) nel 1970, pur avendo esordito nel 1991 (Stephen Chbosky) e nel 2011 (Jennifer Weiner), mentre il resto della pattuglia deve considerarsi via via più “stagionata”, essendo la Moyes del 1969, la Gier del 1966, Nicholas Sparks del 1965, la Downham del 1964, la Anderson del 1961 e la Hood del 1956. Fra questi illustri autori di romanzi di consumo, figurano besteselleriste di YA (Laurie Halse Anderson); autori di storie d’amore, cristianità, crisi matrimoniali e tragedie del destino (Nicholas Sparks); autrici di romanzi destinati a un pubblico femminile (Kerstin Gier, altrove anche Jule Brand e Sophie Bérard); ultra quarantenni dedite a tematiche smaccatamente larmoyanti tipo “Love Story” (Jenny Downham); specializzate in storie d’amore (JoJo Moyes) e via così, crediamo di poter concludere, senza temere d’essere smentite. Gli indici di gradimento che l’amica Michela riserva a otto di questi nove titoli, svariano da 3,5/5 (Sparks) a 4,5/4 (Weiner); da 5/5 (Moyes) a 4/5 (Anderson); da 4/5 (Chbosky) a 5/5 (Hood); da 4/5 (Downham) a 4/5 (Gier). La nostra Gaia, invece, la nostra ventunenne, la sola autrice italiana in tanta pattuglia, nonché la sola esordiente, si merita – secondo l’amica Michela – uno straordinario 0/5.
Zero, insomma.
Zero “di brutto” e basta.
Yesss.
E come mai?
Rileggiamo dalle sue esatte parole – le quali senza incertezze hanno l’ineccepibile dono di restituirci, anche, la costernazione irrimediabile dell’amica Michela:
La scrittura di questa ragazza viene definita “densa di echi letterari”. No ma… SERIOUSLY???? E perché poi? Perché ogni tanto ci butta qua e là qualche riferimento al povero bistrattato Shakespeare? Ah no, c’è anche qualche altro riferimento letterario che ora mi sfugge, probabilmente perché il mio cervello ha deciso di rimuovere questa brutta esperienza. Comunque nulla che un buon uso di Google o Wikiquote non possa fare, in più si tratta di riferimenti inseriti in un contesto talmente dissonante da risultare solamente fastidiosi. Il linguaggio è al limite del ridicolo, ma magari qualcuno potrebbe definirlo aulico e, visto che è inspiegabile a parole, vi riporto qualche esempio.
E così fa, tenera, inane, sorda e dispiaciutissima. Al giù dritti – seriously – pel solito buróne della Maranella, come direbbe l’Albertone Nazionale – non l’Arbasino, clàro, ma l’ottimo vecchio buon Sordi… Fra parentesi, sempre a proposito delle “Affinità alchemiche”, non più tardi di ieri abbiamo intercettato in questo “Titanic dei libri” rappresentato da più ambienti del web (http://stravagaria.wordpress.com/2013/04/02/le-affinita-alchemiche/#comment-3458), un’altra perla dell’oggi che lo stesso proveremmo a riassumere:
Esordienti “à la Anna Frank” (sic!) in stridente contrasto con l’argomento scabroso del romanzo, a petto di premesse poco verosimili e accenti che rapidi trapasserebbero dall’incesto in quanto tale alla passione tout-court; e linguaggi che alternando giovanilismi e ricercatezze stilistiche mancherebbero di baricentro (pur) mantenendosi costantemente in bilico (sic!) tra passaggi aulici e gergo fumettistico, e pagine scorrevoli che s’avvicenderebbero a barocchismi e frasi di maniera in cui riconoscere la tipica resistenza dell’adolescente bravo a scuola (e per ciò stesso votato alla citazione dotta e alla frase a effetto), ma testardissimo nel non voler sfrondare il proprio scartafaccio dell’inessenziale (sic!); così che determinate ricercatezze – in realtà dei meri sfoggi scolatici (sic!) – finirebbero sovente per risultar posticce a scapito della naturalezza (sic!) e – quand’anche movéssero a un sorìso – avrebbero il demerito d’appesantire la ritmica dell’écriture; e poi, la mancanza di contraltari significativi (e la narrazione in seconda persona) che ridurrebbero “Le affinità” a un lungo soliloquio adolescenziale mescidato a passioni amorose finanche vagamente irritanti per pubblici adulti costretti a trascinarsi fra tutti ’sti labirinti amorosi ultra insistiti, nel mentre anelerebbero non già di rinunciare alla pietanza non gradita – come pure farebbero dei lettori normalmente sani di mente (Arbasino) – ma proprio (leggi: sempre anelerebbero), di vedere masochisticamente come va a finire; nel mentre se il romanzo fosse rimasto a decantare nel proverbiale cassetto più a lungo dei quattro anni che separano la stesura iniziale dalla pubblicazione, chissà che Gaia in primis – a quel punto tendenzialmente trentenne? – non avrebbe rimediato alle mancanze di presunti editor quasi “assenti” o forse non motivati a sufficienza… In breve: eccovi recensite trecentocinquanta pagine d’un esordio che paga il prezzo dell’inesperienza di un’autrice troppo “à la Anna Frank” e perciò stesso troppo vittima (grazie a Dio non dei nazisti) ma della sua stessa giovinezza; un romanzo di trecentocinquanta pagine capace in un sol colpo di scontentare sia quanti fossero alla ricerca di un sottotesto più impegnativo (di cui sia pure brumosamente si sospetta l’esistenza?), sia i gusti di un pubblico giovane in cerca della solita storia d’amore contrastata e un zinzinìno pruriginosa. Anche se poi non si può dire, poiché i Moccia e le Meyer ve l’hanno pur fatta, no?, coi lettori ragazzini, e questo romanzo della Coltorti con cos’altro dovrebbe confondersi, se non con modelli tanto belli? Seguono i freschi, brevi e argentini commenti (otto) di “laGattaGennara” e “melodiestonate”, “Miss Fletcher” e “liù”, “topinapigmy” e “MR”, “cucinaicontroluce” e “penna bianca”, che messi tutti insieme volutamente non superano il pur interessante statuto argomentativo dei sette nani da giardino. Cosa dire a tutte quante? Mandarle in (omissis) e non pensarvi più, o far ricorso, indòmite, alla ragione? Optiamo per la seconda che abbiamo detto, accidenti. E quella che segue – estesa come ennesimo atto dovuto anche alle amiche Elisabetta (diariodipensieripersi.com) e Malitia (dustypagesinwonderland.blogspot.com) – è la nostra meditata risposta. (Restate pur seduti.)