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"Le luci di settembre" di Carlos Ruiz Zafón

Creato il 18 giugno 2011 da Sulromanzo

Autore: Debora Vagnoni

Le luci di settembre
Anche in questo romanzo (tradotto in italiano da Bruno Arpaia), risalente in realtà al 1996, ma solo quest’anno liberato da vincoli editoriali, come l’autore spiega in un nota introduttiva, ritornano i temi cari all’immaginazione narrativa di Zafón, quelli che hanno consacrato lo scrittore spagnolo al successo del suo romanzo più famoso, cioè L’ombra del vento.

Tutto inizia da un nucleo familiare turbato da eventi e cambiamenti improvvisi, tra cui una pesante lista di debiti, che costringono i tre personaggi a cercare una nuova sistemazione e ad imbattersi in una realtà imprevista: la madre Simone, rimasta vedova dell’amato Armand, trova un lavoro come governante presso Cravenmore, e porta con sé i suoi due figli adolescenti, Irene e Dorian. Ecco la descrizione del luogo che fa da sfondo alla vicenda, in cui coesistono invenzioni e luoghi letterari collaudati ma che nella penna di Zafón tutto sommato non suonano mai scontati:

“Cravenmore somigliava piuttosto a un castello, alla fantasia di una cattedrale, frutto di un’immaginazione stravagante e tormentata. Un labirinto di archi, sordini, torri e cupole componeva il suo tetto irregolare.”

Nonostante la prima sera trascorsa a Cravenmore per Simone porti ancora con sé la malinconia per la perdita del marito e della condizione passata, la nuova sistemazione appare alla donna l’occasione fortunata per ricominciare una nuova vita all’insegna di quelli che sembrano essere buoni auspici insieme ai suoi figli.

Il proprietario di Cravenmore si rivela fin dall’inizio un personaggio affascinante quanto eccentrico: inventore di giocattoli, ha popolato la sua meravigliosa dimora di automi e creature meccaniche. In realtà la presenza di Simone viene immediatamente vincolata ad una condizione, cioè il divieto di entrare nel laboratorio di giocattoli in cui Lazarus trascorre la maggior parte del tempo.

Già dalla prima giornata a Cravenmore, Simone e i suoi figli vengono a sapere molti particolari che rendono Cravenmore e il suo proprietario un mondo pieno di misteri risalenti al passato. Ad esempio tra i primi personaggi a fornire informazioni su Cravenmore ci saranno Hannah, una ragazza che lavora lì da un po’ di tempo, e suo cugino Ismael, un ragazzo di cui Irene si innamora.

Anche tra Simone e Lazarus scatta una precoce sintonia: “Le bastarono alcune ore di semplice conversazione per leggere negli occhi dell’inventore di giocattoli i suoi stessi pensieri. Ma vi lesse anche che il legame con la moglie sarebbe stato eterno e che il futuro riservava loro niente più di un’amicizia. Un ponte invisibile si alzò tra due mondi che si sapevano separati da oceani di ricordi.”

Sembrerebbe costituirsi così una nuova armonia, così come la possibilità di una nuova vita, sebbene venata di malinconia (l’assenza dei reciproci coniugi, il legame persistente con il passato), fino a che la morte improvvisa di Hannah porta nella comunità un alone indistinto di terrore, e allora si diffonde la paura irrazionale di una fantomatica Ombra, malvagia e punitrice, che si aggira nei dintorni e compie le sue inspiegabili vendette.

Nella inevitabile ricerca del colpevole verranno coinvolti i più giovani Ismael e Irene, che sembrano quasi una restituzione riparatrice delle precedenti coppie disgregate per vari motivi. Dopo la morte di Hannah, il clima di mistero si infittisce, coinvolgendo in prima persona la figura fiduciosa di Simone, che si troverà implicata suo malgrado nella vicenda che poi si rivelerà il nocciolo risolutore del problema.

Non anticipiamo ovviamente lo svolgimento ulteriore della trama, ma forse è interessante notare alcune categorie letterarie che Zafón manipola con disinvoltura ed efficacia.

Innanzitutto la dimora di Cravenmore, che assume a tratti i connotati del castello medievale, con gli anfratti e le segrete, con le sue caratteristiche di fortezza all’interno della quale difendersi; poi quella del percorso labirintico, che va a recuperare la forma archetipica del labirinto, che dall’antichità in poi custodisce segreti mistici, sapienziali, per essere reinterpretato anche in chiave contemporanea come metafora dei percorsi mentali più o meno complicati e cifrati (si pensi all’uso dell’immagine del labirinto che fa Kubrick nel film “Shining”); altra immagine antica assurta a metafora letteraria è quella dell’automa, o della creatura meccanica (un esempio importante è in E.T.A Hoffmann, nel racconto “Der Sandmann”, in italiano “L’orco Insabbia”).

Ultima immagine, anche questa attinta dalla tradizione europea, in particolare mitteleuropea e tedesca, è quella del “doppio”, incarnato nel personaggio che perde la sua ombra e ne viene perseguitato, fino ad arrivare alla rielaborazione calviniana del doppio e della conflittualità ne “Il visconte dimezzato”.

Probabilmente meno brillante e originale de “L’ombra del vento”, meno ironico de “Il gioco dell’angelo”, “Le luci di settembre” riserva comunque al lettore un viaggio fantasmagorico e mai banale nelle fantasie di questo scrittore, che riesce a raccontarci, in uno stile narrativo tradizionale e originale insieme, le storie fantastiche che lui stesso avrebbe voluto sentirsi raccontare.

 


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