In un lungo reportage Anthony Faiola, giornalista del Washington Post, racconta come la Mafia in Sicilia si sia infiltrata nel settore dell’energia sostenibile, controllandone una buona fetta del mercato.
Ancora una volta è un quotidiano straniero (anni fa fu il Financial Times con il reportage su l’operazione “Via col Vento”) a denunciare gli illeciti nel sistema delle energie rinnovabili mentre la grande stampa italiana sembra disinteressarsene. Eppure non mancano gli spunti, degni di una puntata dei Soprano, come scrive lo stesso cronista del Post.
Un mese fa, racconta il quotidiano, dopo anni di infiltrazioni la polizia italiana ha portato alla luce la nuova frontiera delle famiglie di Cosa Nostra. “Sono stati sequestrati un terzo dei 30 impianti eolici e solari della regione: le autorità hanno congelato più di due miliardi di beni e arrestato una dozzina di boss, che avevano corrotto diversi consiglieri locali per poter sviluppare i propri affari“, continua il Washington Post spiegando che i controlli continuano anche sugli impianti della Puglia e della Sardegna.
“Da quando si è sviluppato il business delle rinnovabili la Sicilia è diventata un piatto ricco per tutti, visto che è la regione d’Italia con più sole e vento – racconta il giornale del District of Columbia – E il governo ha iniziato a offrire miliardi di fondi per far ripartire la regione con il nuovo business, che non sono passati inosservati agli occhi delle famiglie malavitose”. Che in questo modo potevano continuare il loro cammino verso un nuovo modo di fare affari: ‘ripulendo’ i soldi.
“La mafia sta contaminando l’economia riciclando i suoi soldi in business legali – racconta al Washington Post Michele Polo, professore di economia alla Bocconi di Milano – E insieme all’evasione fiscale e alla corruzione questo è uno dei tre grandi problemi dell’Italia“.
Ma come si muovono le famiglie mafiose nel mondo dell’eolico e del solare? “Fanno pressioni sui proprietari terrieri per avere affitti a lungo termine e a prezzi calmierati, corrompono amministratori locali per velocizzare il processo di sblocco dei terreni, che normalmente dura dai tre ai sei anni. A questo punto coinvolgono investitori stranieri per intercettare i fondi statali”, racconta il Washington Post.
I giudici italiani devono fare fronte a un’impennata delle attività illecite della mafia, con il crimine organizzato che si organizza con i narcos sudamericani per garantire il traffico di droga, e in generale con uno spreco di risorse, corruzione e indifferenza che sembrano dilagare in tutto il sud del paese. Lo scorso ottobre – scrive il Washington Post – l’intero Consiglio comunale di Reggio Calabria è stato sciolto a causa di presunti legami con la ‘Ndrangheta.
Gli investitori stranieri non sanno di essere finiti nelle mani della mafia – continua il reporter del Post – o molto spesso non vogliono saperlo. Ma adesso il nuovo governo italiano ha bloccato le sovvenzione e ha obbligato gli investitori a firmare dichiarazioni giurate in cui negano ogni collegamento con la malavita. In più il nuovo governo regionale, guidato da una giunta di centrosinistra, ha deciso di bloccare i progetti. Sta infatti cercando di stabilire nuove regole e creare gli strumenti per lasciare fuori dal business le famiglie di Cosa Nostra. “Abbiamo permesso alle organizzazioni mafiose di fare affari in questo settore – ha detto al Post Nicolò Marino, assessore all’Energia in Sicilia – e abbiamo perso una opportunità vitale per lo sviluppo della regione”.
“A causa della crisi economica”, prosegue il quotidiano, “gli investimenti da parte di paesi stranieri sono fortemente rallentati in Italia e in Grecia, i due paesi considerati i più a rischio e, purtroppo, anche quelli che compaiono nella classifica Transparency International come le economie più corrotte dell’eurozona. Secondo l’OECD, dal 2007 a metà del 2012, l’Italia ha ricevuto 87 miliardi in investimenti, contro i 183 miliardi dei Paesi Bassi, i 289 miliardi della Francia e i 502 miliardi della Gran Bretagna”.
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