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Le sfide future della “nuova” Libia

Creato il 16 luglio 2012 da Bloglobal @bloglobal_opi

di Giuseppe Dentice

Le sfide future della “nuova” Libia
Lo scorso 5 luglio si sono svolte in Libia le prime elezioni libere dopo 63 anni di regime di Muammar Gheddafi. Nella tornata elettorale si è votato per i 200 parlamentari che comporranno il Congresso Nazionale Generale (CNG), il nuovo organo legislativo che sostituirà il Consiglio Nazionale di Transizione (CNT) formatosi poco dopo l’inizio della rivolta del febbraio 2011. Il CNG dovrà nominare in seguito il nuovo Premier ed il governo, i quali resteranno in carica fino alle definitive elezioni parlamentari del 2013. Il CNG, inoltre, avrebbe dovuto avere il compito di nominare una commissione di 60 saggi incaricata di scrivere la nuova Costituzione democratica del Paese; tuttavia, per non scatenare le ire degli elettori della Cirenaica, il CNT ha fatto un passo indietro e l’Assemblea Costituente verrà eletta direttamente dal popolo. Così, nel perdurare di lotte intestine claniche e tribali e di tensioni politiche interne, la Libia rischia di dimenticare altre importanti sfide che l’attendono, tra cui la ricostruzione di un’identità nazionale e il rilancio della propria economia se non vuole incorrere nel rischio di diventare un altro “failed state”.

Il frammentato quadro politico

La Libia sorta sulle macerie della guerra civile di un anno fa non ha ancora conosciuto un reale processo di pacificazione interna. Il panorama politico presenta un variegato numero di forze eterogenee che rispondono alle esigenze e agli interessi dei vari clan che rappresentano: infatti, negli ultimi dodici mesi sono sorti numerosi movimenti politici, i quali vanno da raggruppamenti laici e liberali ai movimenti indipendentisti e federalisti, da gruppi islamici (moderati e fondamentalisti) a partiti che prediligono affiliazioni tribali e claniche e, perfino, a quelli che si richiamano ai monarchici.

Il CNT, l’organo deputato a garantire l’ordine e a guidare la transizione politica nel Paese, nonostante gli sforzi soprattutto di Mustafa Abdel Jalil e di Abdel Rahim al-Kib – rispettivamente, Presidente e Primo Ministro –, non è ancora riuscito a porre fine alle tensioni politiche e tribali interne.

Sebbene quest’organismo possa vantare un forte e trasversale sostegno internazionale, manca però di quel consenso popolare necessario per formare un governo funzionante sul territorio e non è in grado di controllare alcuna forza all’interno del Paese, né di imporre le proprie scelte politiche alle forti tribù libiche. Non a caso, una delle accuse mosse al governo di transizione è quello di essere un organo a difesa degli interessi di una parte della popolazione (in particolare quelli della Cirenaica). Inoltre, il CNT fin dalla sua nascita a Bengasi – seconda città del Paese e capitale della regione cirenaica – ha visto una forte componente dei leader delle tribù e dei clan delle regione orientali del Paese. Quello che emerge, dunque, è un quadro altamente frammentato e ancora ben lontano da un chiaro passaggio verso una transizione democratica.

Le tensioni alla vigilia del voto

Lo svolgimento delle elezioni era stato in dubbio fino all’ultimo a causa di problemi sia di carattere organizzativo – si erano presentati circa 3.000 candidati per 200 seggi –, sia per il moltiplicarsi degli episodi di violenza in tutto il Paese che, dopo il precedente rinvio dal 19 giugno al 7 luglio scorso, avevano suscitato nel CNT ulteriori preoccupazioni e perplessità. Tra gli innumerevoli episodi di violenze sparsi equamente in tutto il Paese vale la pena di menzionare: l’occupazione dell’aeroporto di Tripoli, l’attacco al consolato americano di Bengasi all’inizio di giugno, gli attacchi alle raffinerie petrolifere nella Cirenaica, le manifestazioni di gruppi islamici radicali, l’aggressione al convoglio dell’Ambasciatore britannico a Bengasi, il sequestro di alcuni funzionari della Corte Penale Internazionale a Zintan, gli scontri tribali nel Fezzan, l’attacco all’ufficio elettorale di Bengasi.

Ad alimentare ulteriormente le insicurezze libiche ci sarebbero state le iniziative del Consiglio Nazionale della Cirenaica (CNC), un organo locale ed indipendentista che spinge per una maggiore “autonomia” della Cirenaica. Punti principali della piattaforma del CNC sono il riconoscimento di Bengasi come capitale della regione, la creazione di un proprio governo e di un proprio Parlamento autonomo da Tripoli. Non di meno, i gruppi della Cirenaica rivendicano un maggior numero di propri rappresentanti all’interno del CNG. Infatti, i parlamentari eletti verranno suddivisi nel seguente modo: 100 deputati alla Tripolitania, 60 alla Cirenaica ed, infine, 40 al Fezzan. Di questi il metodo di voto previsto assegnerà 120 seggi con il sistema maggioritario – premiando dunque il radicamento territoriale del singolo candidato e per tale motivo i movimenti della Cirenaica si sentirebbero maggiormente in vantaggio rispetto ai colleghi tripolitani –, mentre 80 sarebbero assegnati con il proporzionale e designati su lista partitica (con 40 seggi garantiti a donne). Naturalmente questo tipo di voto potrebbe alimentare ulteriormente le tensioni perché i 120 deputati potrebbero, infatti, non necessariamente essere legati al vincitore delle urne.

Di fronte all’iniziativa politica del CNC, il CNT ha di fatto parlato di pericoloso tentativo di destabilizzazione che mira solo ad incrementare la frammentazione del Paese: tali pretese non sono state dunque accettate dal governo transitorio di Tripoli; piuttosto, il CNT si è mostrato possibilista riguardo alla concessione di una maggiore decentralizzazione dei già ampi poteri locali alle municipalità.

Infine, a prescindere dalle rivendicazioni da parte dei gruppi della Cirenaica, l’assemblea transitoria dovrà eleggere, oltre che il nuovo governo ad interim (fino alle elezioni del 2013) e il relativo Primo Ministro, un’assemblea ristretta di 60 membri con il compito di redigere una bozza di Costituzione – bozza che quantunque dovrà essere sottoposta a referendum popolare –, indicando quindi quale assetto dare allo Stato (centralista o federalista) e quanti e quali poteri assegnare agli organi locali. Tutti punti fondamentali su cui i partiti in gioco non hanno ancora trovato un accordo unanime e di cui solo formalmente ne condividono le modalità.

I partiti e i primi risultati

I principali partiti attivi nel Paese sono i seguenti: l’Alleanza delle Forze Nazionali (AFN), composto da circa 65 partiti liberali e guidato da Mahmud Jibril, ex Ministro dell’Economia sotto il regime gheddafiano; il Partito Giustizia e Costruzione, ala politica dei Fratelli Musulmani in Libia e guidato da Muhammad Sawan; il Partito della Nazione (Al Wattan), di orientamento islamico e guidato dall’ex capo militare salafita Abd al Hakim Belhajj e dal religioso libico, ma che ha trascorso numerosi anni in esilio nel Golfo e in Qatar in particolare, Ali al-Sallabi; il Fronte Nazionale per la salvezza della Libia, storico partito dell’opposizione costituitosi all’estero negli anni ‘80 con basi a Londra e negli Stati Uniti; il partito salafita dell’Autenticità (Al Asala); il nazionalista Partito del Vertice, avente come leader Abdullah Naker ed, infine, la Corrente Nazionale Moderata, guidato da Ali Tarhuni, già Ministro del Petrolio.

Nonostante i disordini e il clima teso, soprattutto nella parte orientale del Paese, si possono registrare alcuni elementi importanti, innanzitutto nel numero dei votanti che si sono recati alle urne. L’alta e sorprendente affluenza alle urne – 2,7 milioni di elettori su una popolazione totale di circa 6 milioni (tra il 60-65%) – dimostra evidentemente il desiderio di buona parte del popolo libico di voltare pagina. Inoltre, a differenza di quanto accaduto nelle altre elezioni in Tunisia, Marocco ed Egitto dove sono stati premiate formazioni islamiche, stando ai risultati parziali e non ufficiali delle votazioni, la Libia potrebbe non seguire questo filone e portare ad una formazione di governo moderata e filo-occidentale.

Diverse fonti libiche ed internazionali, infatti, confermano che l’AFN di Jibril avrebbe ottenuto un grande successo a Tripoli ed anche nella Cirenaica culla della rivoluzione libica. In base ai risultati parziali forniti dall’Alta Commissione elettorale libica, l’AFN ha ottenuto a Janzour, periferia di Tripoli, 26.798 voti contro i 2.423 del Partito Giustizia e Costruzione (PGC), giunto secondo. Risultati senza appello anche a Zlitan, vicino a Misurata, con 19.273 preferenze per l’Alleanza contro le 5.626 per i Fratelli Musulmani, dopo lo scrutinio del 74% dei voti.
Pur mancando ancora i risultati definitivi, che arriveranno probabilmente tra il 19 e 20 luglio, questo dato, se vero, dimostra un certo cambiamento di tendenza rispetto alla regione, come sottolineato dallo stesso leader del partito Giustizia e Costruzione, Muhammad Sawan.

Il futuro dopo le elezioni

Nonostante il compiacimento della comunità internazionale, le sfide cruciali che il Paese dovrà affrontare per garantirsi una vera transizione pacifica e democratica riguardano principalmente 4 temi: un serio processo di state building, la riconciliazione nazionale, il problema della sicurezza e del terrorismo, ed, infine, la ripresa economica e la redistribuzione dei profitti del petrolio. Questioni che se non affrontate nei tempi e nei modi giusti rischiano di riconsegnare il Paese al caos e all’anarchia.

La nuova Costituzione redatta dovrà chiarirci quale sarà l’orientamento del nuovo corso della Libia: più conciliante verso la Shari’a o tendenzialmente propensa ad un atteggiamento laico e liberale? Tripoli avrà un economia mista, più protetta, o tendente ad un libero mercato? Ed infine: la Libia sarà centralista o assumerà la forma di uno stato federale o, addirittura, una qualche sua regione (la Cirenaica) chiederà l’indipendenza? Eppure, proprio il radicarsi di centri di potere indipendenti a livello locale potrebbe rendere nulli gli sforzi compiuti finora dal governo centrale di condurre un’opera importante di coesione nazionale, rappresentando, al contrario, una minaccia alla sicurezza e all’unità dello Stato libico.

Non di meno, il governo che trascinerà il Paese alle elezioni del 2013 avrà infatti il compito di porre le basi per un rilancio di un processo di riconciliazione nazionale quale fondamento di nuove istituzioni libere e democratiche e di contribuire a forgiare un’identità nazionale – da sempre debole – che contribuisca all’equilibrio tra le varie componenti di potere e controllo. Inoltre, alla luce dell’importanza delle risorse interne e delle sfide alla competizione provenienti dai vicini mediorientali, è necessario che le autorità di Tripoli sappiano trovare un giusto modello di rilancio dell’economia, che non dipenda unicamente dal petrolio e che le rendite derivanti da esso siano distribuite più equamente tra Cirenaica (dove si concentra il 60% degli idrocarburi nazionali) e Tripolitania (dove invece sono presenti quasi tutte le raffinerie del Paese). Ma per far si che il governo possa avere quella forza necessaria per imporre le proprie scelte è importante che esso non sia sotto il ricatto armato e politico delle tribù e dei clan che stanno condizionando con le proprie milizie la vita pubblica del Paese.

Resterà da vedere in che misura la comunità internazionale intenderà intervenire per sostenere il processo di transizione e la ripresa economica (come nei casi di Tunisia ed Egitto), per non incorrere nel rischio di avere in Nord Africa un’altra Somalia.

* Giuseppe Dentice è Dottore in Scienze Internazionali (Università di Siena)


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