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I tetti e le terrazze di Stone Town paiono grigi all'alba. Butti lo sguardo intorno e lo sguardo spazia sui cubi delle case antiche che nascondono i vicoli della medina vecchia del quartiere di Malindi, che nascondono quasi l'azzurro lontano del mare. Una omelette, fette di papaya, succo di mango fresco, l'odore del Golfo te lo porta la brezza del mattino che gonfia le vele lontane dei dhow già al largo. Vi avranno svegliato le chiame mattutine alla preghiera dei muezzin. Dalla terrazza in alto dell'Hotel Safari vedi il minareto rotondo dell'antica Misikiti wa Balnara, la torretta della Beit el-Ajaib, la Casa delle Meraviglie, già palazzo del sultano e la sagoma delle massicce mura del forte corrose dall'umidità e il brusio leggero che senti salire dai vicoli bassi ti chiamerà come una sirena a scendere in strada a perderti nei vicoli, a fermarti anche solo ad osservare il passaggio e a goderne l'atmosfera. Donne velate passano a gruppi, trasudando voglia di glamour colorato al di sotto dei veli svolazzanti, poi bambini che vanno a scuola, artigiani al lavoro, le prime botteghe che con calma aprono le pesanti porte di legno. A poco a poco le strade si riempiono di gente diversa, un melting pot afroasiatico fatto di indiani frettolosi, massicci neri africani, allampanati abitanti degli altopiani, nilotici magri, donne dalla pelle chiara ed i nasi sottili che si indovinano al di sotto di niqab trasparenti, grasse venditrici avvolte in khanga colorati, papaline bianche di vecchi arabi dalle barbette rade a discutere animatamente con ispidi salafiti in palandrana grigia. Nei giardini Forodhani di fronte al forte, puoi stare ore a goderti il passaggio con un succo di mango, ad impigrirti all'umidità salsa dell'aria di mare prima di infilarti nei meandri della città vecchia, ormai bazar infinito di negozietti di souvenir.
Ti potrai sedere anche tu sulle baraza, i gradoni in pietra dove, davanti ad ogni casa, la gente si siede a chiacchierare e goderti ancora l'andirivieni pigro e ciondolante o ad alzare gli occhi sulle finestre ricche di elaborazioni decorate. I grandi portoni di legno scolpito sono ormai quasi tutti aperti, le lunghe punte di ottone lucide per i tanti tocchi. Ancora una sosta sul dehor al primo piano dell'Archipelago café per approfittare dei suoi deliziosi tranci di marlin alla griglia, standotene a guardare i mastri d'ascia che sulla spiaggia mettono a punto la murata di una grande barca, ormai quasi finita. Su un muro, una mano irriverente ha scritto, puoi comprare cosmetici, ma non la bellezza. Quella è un dono di natura, che si offre così alla tua vista perché tu ne possa godere liberamente. E' difficile decidersi ad abbandonare Stone Town, come tutte le antiche città arabe, ha un sentore dolciastro e appiccicoso che ti impigrisce e ti toglie la voglia di partire, anche se Ibb, grassoccio interprete dell'accoglienza isolana ti canticchia tutto l'inno della Juve, nel suo italiano perfetto acquisito dalla costante frequentazione di turiste fameliche. Le bianche spiagge dell'isola chiamano però a prenderti qualche giorno di riflessione, di cui vi ho già parlato in diretta e su cui a distanza di tempo non voglio tornare, per non rimanere poi immagonito, buttando l'occhio su questa grigia e fredda primavera, piena di nuvole nere all'orizzonte. Direi che è ora di chiudere qui questo taccuino di viaggio, scandito da espressioni spesso un po' enfatiche, come mio costume, ma sapete com'è, io sono facile agli entusiasmi e vorrei trasmetterli sempre a chi mi ascolta con orecchio attento. Nei prossimi giorni ritornerò sull'argomento solo per dare qualche indicazione di natura pratica a chi volesse avventurarsi da quelle parti, cosa che consiglio caldamente in ogni caso.
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