In Egitto, le continue violenze tra i sostenitori del deposto presidente Mohammed Morsi e l’esercito, che guida dietro le quinte il governo provvisorio, rischiano di far precipitare il paese in una vera e propria guerra civile. Il 27 luglio, nel bel mezzo delle manifestazioni a sostegno dell’ex presidente, da parte dei Fratelli Musulmani, le forze di sicurezza hanno sparato sulla folla e, secondo alcune fonti, ci sarebbero stati almeno 74 morti.
Il segretario di Stato John Kerry ha esortato tutte le parti in lotta ad agire per evitare che il paese si avviti in una crisi che potrebbe diventare irreversibile. In una situazione che rischia di diventare esplosiva, in questi giorni, il dibattito interno statunitense si è sviluppato sul tema degli aiuti militari che gli Usa elargiscono all’Egitto. Dal 1979, il paese dei faraoni è lo stato che riceve più aiuti militari dopo Israele.
A partire dal 1987, la cifra ammonta a circa 1,3 miliardi all’anno. La legge del Congresso, che regola simili fondi, prevede però che in caso di colpo di stato, militare o di altro tipo, essi debbano essere bloccati. L’uscita di scena di Morsi, deposto dai militari il 3 luglio scorso, è apparsa a molti come un classico colpo di stato.
Il senatore John MCain, ex avversario di Obama nel 2008, è stato tra i primi a denunciare quanto accaduto a Morsi come un golpe. Rand Paul, neosenatore del Kentucky, esponente di punta del Tea Party – corrente libertaria ed antistato del partito repubblicano – ha denunciato come insensata la decisione di non interrompere gli aiuti militari all’Egitto.
Da parte sua, la Casa Bianca ha negato più volte che l’arresto dell’ex presidente egiziano possa essere considerato come espressione di un colpo di stato.
In una audizione al Congresso, a porte chiuse, il sottosegretario di Stato William Burns avrebbe paventato l’ipotesi che senza gli aiuti militari, l’Egitto rischierebbe di trasformarsi in un “failed state”, uno stato con un governo incapace di mantenere l’ordine.
Anche Dennis Ross, ex consigliere di Obama per il Medio Oriente, ha sostenuto una posizione simile, in un recente editoriale scritto per Usa Today. Pressato però da più parti a lanciare, almeno un segnale, al governo del Cairo per convincerlo a ridurre la violenza contro i Fratelli Musulmani, Barack Obama ha scelto di bloccare la consegna di 4 aerei F16 che avrebbero dovuto essere inviati a breve all’Aereonautica egiziana.
In realtà dietro la scelta della Casa Bianca di insistere nel non considerare la deposizione di Morsi come un golpe, negando lo stop agli aiuti, vanno considerati fattori non solo di natura politica, ma anche economica.
Se gli Usa decidessero di chiudere tutti i rubinetti degli aiuti militari all’Egitto rischierebbero di incorrere nel pagamento di milioni di dollari di penali. Per fare un esempio prendiamo proprio i 4 F16, la cui consegna è stata bloccata da Obama.
Essi fanno parte di un contratto da 2,5 miliardi di dollari, firmato dal governo americano con la Lockeed Martin nel 2010, che prevede la consegna di un totale di 20 aerei entro il 2014.
Secondo l’azienda dello stato del Maryland, questa, entro il 30 giugno, avrebbe consegnato 14 dei 20 F16 previsti; il governo americano, fino al mese di aprile 2013, avrebbe, a sua volta, impegnato circa 797 milioni, per cui, rimarrebbero da corrispondere alla Lockeed ancora 1,7 miliardi di dollari.
Nel caso in cui gli Usa decidessero di bloccare tutti gli aiuti militari al Cairo, il governo sarebbe costretto a pagare forti penali con cui rimborsare la Lockeed, come altri giganti degli armamenti per i costi sopportati e i mancati profitti.
Le stesse considerazioni andrebbero fatte per un contratto, stipulato nel novembre 2011, dalla General Dynamcs per la consegna, entro il gennaio del 2016, di 125 carri armati Abrahms all’Egitto, per un importo di 395 milioni di dollari.
Secondo Bloomberg Government Data, fino all’aprile di quest’anno, la General Dynamics avrebbe ricevuto solo 176 milioni, per cui, nel caso in cui gli Usa decidessero di stoppare gli aiuti, il governo americano dovrebbe rimborsare al committente la somma rimanente.
Un insieme di relazioni e di interessi economici che rischiano di condizionare in maniera preponderante le scelte politiche ed umanitarie della Casa Bianca.