Bando alla retorica sul lato oscuro della tecnologia, sugli affetti 2.0, sull’alienazione dell’uomo moderno, questo è un bel film sui sentimenti, che tratta di tecnologia quanto basta per tracciare in chiave futurista un amore vecchio come il tempo, quello irreale.
In una Los Angeles di un futuro relativamente prossimo Theodore, solo e depresso per il recente divorzio, si innamora del suo sistema operativo di nome Samantha, dotato di voce, pensiero ma senza corpo. E non si invaghisce del computer perché è un uomo alienato dal progresso tecnologico che sviluppa questo rapporto malato in quanto incapace di vivere relazioni reali, ma perché l’uomo, da sempre, ama l’incorporeo. Non è forse da millenni che l’essere umano ama ciò che non è? Che sia un amore rivolto ad un sistema operativo, ad un dio greco trasformato in nuvola, che sia un amore inventato, dipinto su una figura sfocata intravista, o su una persona conosciuta e ormai lontana, pensiamo amore e questo esiste in quanto tale, se pur irreale.
E quanto ho adorato questo film che senza moralismi, senza pedanteria raccoglie la solitudine di un uomo (e l’uomo è solo da sempre, per progresso tecnologico, per guerra, per noia) e gli regala la felicità di un sentimento rivolto ad un esistenza senza corpo. L’amore per Samantha lo fa stare bene, e tanto basta. Non condanniamo dunque l’esercizio di fantasia di un uomo invaghito, la vita è troppo breve per non assaporare sprazzi di gioia, reali o irreali che siano. Concediamoci il lusso di vivere irrealmente un amore sognato, senza attanaglianti domande su giusto, sbagliato, su interessi comuni o compatibilità a lungo termine. Questo è lo slancio che ho colto dal film.
Mi auguro possa esistere sempre una mente capace di creare sentimenti perché è forse l’unica eredità di irrazionale che ci possiamo permettere quando la vita diventa necessariamente razionale. Concediamoci l’etereo e l’ineffabile, l’amore pensato; anche questo, sebbene incorporeo, sarà mutevole al pari di un essere umano in carne ed ossa, come il film con una delicata amarezza svela. Anche l’amore pensato sarà destinato – se non sfocia nel patologico- a scontrarsi con l’umano, con la necessità carnale, con la gelosia, la paura, la volubilità. Potrà morire su se stesso o trasformarsi in un amore che come Sergio Endrigo cantava non appartiene al cielo ma vive tra le cose di tutti i giorni. Vanterà sempre, però, una felicità pura e l’entusiasmo dell’ immaginazione.
Sono entrata nella sala del cinema innamorata di Joaquin Phoenix, quando sono uscita ho pensato che dopo un’interpretazione così intensa gli avrei chiesto di sposarmi. La nostra relazione, in fondo, va irrealmente a gonfie vele.