Magazine Diario personale
Il lieto evento, come viene giustamente definito, è soltanto l’inizio di una storia d’amore destinata a durare nel tempo, per tutta la vita. Ad un certo punto di questo cammino, molte mamme non hanno la certezza di amare nel modo giusto il proprio figlio. Interiormente scatta un meccanismo di disperato dubbio. Hanno paura di deludere, di non essere all’altezza in questa società che inevitabilmente richiede soddisfacenti performance in ogni campo. Quando un bambino è ancora piccolo è spiazzante, perché risponde e agisce a leggi per lui sconosciute. Mentre prima il disagio veniva espresso e affrontato in maniera molto semplice, attingendo alla conoscenza e al modo d’intervento delle generazioni precedenti, ora in questa frenetica corsa di mutamento continuo di questa società, così detta moderna, spesso la mamma, specialmente la giovane mamma, non è sufficientemente preparata all’evento e alla sua conduzione nei primi mesi di vita, favorendo così il nascere di quel malessere che tante volte sfocia in un atto di violenza. È a questo punto che scatta il rifiuto di se stessa come madre ed è a questo punto che avverte un violento impulso, nega la propria maternità per sfuggire a una realtà piena di ostacoli e tante volte inconsciamente decide di sopprimere il proprio piccolo. Il motivo, in gran parte, è lo stress sociale, l’isolamento, la vita frenetica, il dover lasciare una vita ovattata, come può essere stata quella precedente al parto, per ritrovarsi di colpo e tante volte da sola a dover affrontare, prima il parto stesso e poi la presenza e la crescita del nuovo arrivato. Tante volte, una mamma si rende conto di non farcela e non riuscendo a cercare valido interlocutore, di esprimere il proprio disagio, di essere aiutata a superare la soglia iniziale della superficialità del problema, è questo il momento di maggiore pericolo, il momento che poi si passa dalla difficoltà alla disperazione. Il caso della “ Franzoni ”, un vero mistero. Se è stata lei a sopprimere il proprio bimbo in un momento di sconforto e di annullamento del proprio ruolo e identità, lo sa solo lei. Ma se è stata lei, la cosa che angoscia maggiormente è come può una mamma dopo aver commesso un atto così crudele e assurdo nei confronti del proprio amore, riuscire a vivere, a mostrarsi con assoluta semplicità e calma, come se la vittima è lei. E poi, c’è anche da chiedersi come faranno gli altri suoi figli a continuare a vivere con il peso di avere una mamma che forse ha commesso il peggiore degli omicidi. Certo testimonianze come questa, esistono. Riempiono le cronache del nostro tempo di civiltà evoluta. Fa un certo effetto parlarne, perché poi ci rendiamo anche conto che il mito della madre felice a tutti i costi è forse soltanto un mito. La realtà dei fatti di cronaca è che tanto di quello che accade è frutto di un malessere sociale diffuso, terrificante ed inaccettabile. Tante volte disagi che vengono fuori in modo casuale, non presi sul serio, sottovalutati e quindi affrontati in modo errato, non all’altezza della gravità.Poi ci sono tante di quelle mamme che con grosse difficoltà riescono a superare l’impatto iniziale di dover essere da quel giorno, una mamma, facendo leva alla propria abilità e capacità nell’affrontare le problematiche del nuovo ruolo. Tutto favorito eventualmente dall’ambiente che le circonda e dall’influsso positivo e partecipe di chi ha condiviso sin dall’inizio le difficoltà di gestione, di relazione ed impegno verso il nuovo status. Per tante di queste mamme, spesso alcune problematiche emergono in seguito, di pari passo con la crescita del bambino. L’inserimento tra i coetanei. Le capacità. La negazione allo studio. Le amicizie. L’amore. E poi, man mano che crescono ancora, il lavoro, alcune scelte, il proprio ruolo all’interno della famiglia. Per poi finire, tante di quelle volte, nelle dipendenze, non solo di droghe, ma anche di denaro e di libertà. Crisi d’identità sono alla base della caduta libera di tanti giovani che inevitabilmente si scontrano talvolta con le difficoltà nella società e che inevitabilmente, dopo un periodo di frustrazione e incapacità reattiva, finiscono per condurli verso il baratro dell’illusione di compensazione rappresentata dall’uso di sostanza stupefacenti. È come se ad un certo punto avviene lo svuotamento del cervello, della memoria, di ogni sorta di fonti di equilibrio, di riferimenti, di certezze. Tutto assume un ruolo diverso da quello iniziale e pertanto si finisce ad agire e soprattutto a considerare prioritarie sostanze eccitanti e devianti che poco alla volta destabilizzano ogni fonte capacitiva, trasportandoli in un modo surreale che non ha niente di pertinenza alla realtà stessa. L’annullamento d’identità, l’incapacità di valutare e scegliere, determinano quella che è considerata giustamente una delle grosse sconfitte dell’uomo. Questo è uno dei mali maggiori, ma poi ci sono tante altre problematiche di contesto diverso, come la capacità di relazionarsi. Per una mamma, riuscire ad entrare in sintonia con il proprio figlio è una battaglia che coinvolge ogni restante energia. Sentirsi accusata di spiare, di mettere il naso in cose assolutamente private e segrete di un ragazzo o di una ragazza è tra le tante difficoltà che una mamma deve affrontare, dopo che per anni non ha fatto altro che consumare ogni energia del proprio fisico e del proprio tempo. Sentirsi escludere nella propria sfera intima, non essere ritenuta degna di confidenze, non all’altezza, è necessariamente fonte di sofferenza, è come se all’improvviso crollasse tutto un mondo di essenzialità e rispettose certezze, finendo in una specie di emarginazione mentale e di frustrante isolamento. La relazione tra madre e figlio è spesso dominata da incomprensione
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