La memoria - identificabile in ciò che siamo stati quindi, presupponendo che l’esistenza abbia forma dinamica, o che perlomeno dia l’illusione di esserlo, ciò che siamo - se gettata nell’oblio annulla l’essere; concetto, questo, che in “Lettere di uno sconosciuto” viene rafforzato dall’abile parallelismo che collega la perdita di memoria della donna all’ostracismo con cui il governo metteva a tacere - spesso facendoli sparire da ogni documento, eliminandoli di fatto dalla storia e, dunque, rimuovendo ogni possibilità di essere ricordati, annullandoli del tutto - i propri contestatori.
Zhang Yimou, alla sua ventesima regia, mette in scena un’opera intima che spazia senza affanni tra vari generi portandosi avanti delicatamente e setacciando le dimensioni intime dei propri personaggi, dando vita ad un film che, nonostante l’intuizione e l’eleganza con cui viene sviluppato, forse a causa del suo essere un dramma dai toni eccessivamente quieti, sembra far fatica a trovare una forma definitiva.Antonio Romagnoli