Seconda giornata di campionato, Ponte della Pietra – Nestor, categoria allievi provinciali. E’ il 1999, è ottobre ed è freddo. La partita si gioca alle 9.30 di domenica, ci sono sia brina che nebbia. L’arbitro convoca i due capitani per decidere se giocare oppure no. Uno dei due capitani sono io, una delle poche volte, tra l’altro, che gioco da titolare. Il regolamento vuole che se da una porta non si vede l’altra, la partita non si può giocare. Avendo calcolato che non avrei avuto tante altre occasioni, all’arbitro dissi: “pol venì giù anche cristo, per me si gioca”.
Il campo era smosso e ghiacciato, perciò ogni piccola buca era diventata uno scalino di marmo. Visibilità relativa, ma non era un problema per chi come noi era abituato a giocare anche al buio. Il primo tempo finisce 2-0 per noi, grande euforia nello spogliatoio, non vincevamo quasi mai, quindi già aver conquistato un primo tempo era roba grossa.
Si riparte un po’ più scarichi, gli avversari fanno subito il 2-1. C’era bisogno di addormentare la partita, per quanto potessimo farlo dato il nostro status di scarponi vagabondi di quindici anni. Ricordo che per andare a prendere un pallone dal fallo laterale ci misi un minuto, era finito dietro un cespuglio e dissi all’arbitro che non lo ritrovavo. Su un rovesciamento di fronte, c’è l’occasione per chiudere la partita. Il nostro attaccante si trova la porta vuota a un metro e il pallone a mezz’aria, ma spara alto. Era più difficile che segnare. Inevitabili arrivano i due gol degli avversari a rovesciare il risultato: 3-2, tutti a casa.
Quel campo da calcio sorge nella periferia più grigia di Perugia, sventrata dal cemento di anni di governo pseudo democratico. Di questi giorni è la notizia che il campo verrà eliminato per far spazio ad una nuova chiesa. Dodicimila metri quadri di cemento per ringraziare nostro signore di avere i soldi per edificare dodicimila metri quadrati di cemento. I “comunisti” al governo, a Perugia, hanno deciso che è meglio una chiesona che un campetto da calcio. Quel campo dove in tanti, me compreso, hanno imparato a vincere e a perdere, a vivere con gli altri, per quanto difficile potesse essere. Perché quello che ti sta sulle palle, in una squadra, c’è sempre. Ma la palla gliela devi passare lo stesso, se vuoi vincere. In tanti hanno imparato a stare al mondo su un campo di calcio, più di quelli che lo hanno fatto in una chiesa, dove il massimo che sanno dirti è “fai quello che ti dico io e campi cent’anni, male, ma poi l’eternità bene”. In un campo di calcio si impara a sbagliare e a migliorare, senza bisogno di pentimenti o minacce di finire all’inferno. Quell’attaccante che nel 1999 sbagliò il 3-1 a porta vuota oggi è un felice padre di famiglia, nonché uno dei più grandi bestemmiatori che abbia mai conosciuto.
Il governo del cemento ha però deciso: via il campo da calcio, s’ha da fare una chiesa, dove tutti andranno a pregare il signore per riavere il campo da calcio. Perché il dio del popolo non infligge punizioni, ma le calcia a giro sotto la traversa.