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Libertà religiosa in Europa, tra alti e bassi

Creato il 23 gennaio 2013 da Uccronline

Nadia EweidaSu quattro casi di cristiani britannici che avevano fatto ricorso adducendo di essere vittime di discriminazioni religiose, la Corte europea per i diritti umani (che nulla ha a che vedere con l’Ue), solo la cristiana copta Nadia Eweida, dipendente della British Airways che l’aveva sospesa dal servizio per aver voluto indossare una piccola croce al collo, ha visto riconoscersi la discriminazione subita.

Secondo la Corte di Strasburgo i tribunali nazionali britannici avevano «dato troppo peso» all’esigenza di tutelare l’immagine della società a scapito del diritto di manifestare la propria religione. Soprattutto, però, Eweida aveva dalla sua il fatto che la stessa compagnia, mentre le vietava di esporre un simbolo cristiano, aveva fatto eccezioni per veli islamici e turbanti sikh. Il governo britannico dovrà versarle un indennizzo di 32mila euro.

Niente da fare invece per Shirley Chaplin, infermiera cristiana in una clinica, che era stata prima rimossa dal servizio attivo e poi aveva perso il posto, per aver rifiutato di togliersi una catenina con croce, come invece chiesto dalla direzione per ragioni di sicurezza e igiene nei rapporti con i pazienti. La Corte ha sostenuto che «la protezione della salute e della sicurezza in ambito ospedaliero è di importanza molto maggiore» rispetto al diritto di manifestare il proprio credo. La decisione della Corte appare corretta perché oltre al diritto della libertà religiosa occorre al tempo stesso tenere conto dell’esistenza di altri diritti che possono essere messi in gioco, come ha spiegato Monica Lugato professore ordinario di Diritto internazionale alla Lumsa

Più controverso il caso degli altri due ricorrenti, Lillian Ladele e Gary McFarlane, che hanno dovuto affrontare problemi sul posto di lavoro per la loro contrarietà ai matrimoni omosessuali. Ladele, impiegata dell’Anagrafe a Londra dal 1992, si è trovata sotto procedura disciplinare per aver rifiutato di applicare la nuova normativa britannica del 2005 che introduce l’unione civile per le coppie gay, nonostante fossero disponibili anche altri impiegati. McFarlane è stato invece licenziato dall’incarico di consulente per coppie per le sue idee sulle civil partnership omosessuali, pur avendo assicurato che avrebbe rispettato le linee guida della sua istituzione. Riteniamo un errore l’inesistenza della possibilità dell’obiezione di coscienza anche in casi come questi, oltre che per l’aborto, così come stanno chiedendo da mesi numerosi sindaci francesi preoccupati dell’introduzione del “matrimonio per tutti” voluto dal governo Hollande.

Due giudici della Corte di Strasburgo – Vincent de Gaetano (Malta) e Nebojša Vucinic (Montenegro) – si sono infatti dissociati dalla sentenza, in particolare nel caso di Ladele, ricordando che in gioco ci sia la libertà non tanto di religione quanto di coscienza: «Nessuno dovrebbe essere obbligato ad agire contro la propria coscienza o esser punito per aver rifiutato di farlo», e oltretutto quando la donna fu assunta non esisteva la possibilità di unione civile tra omosessuali. Queste due persone «sono state sacrificate sull’altare dell’ossessione per il politically correct».

Secondo la prof.essa Lucato, in generale tuttavia «il messaggio che viene dalla sentenza è che c’è una grande attenzione al diritto alla libertà religiosa». Forse è troppo ottimista, non a caso la Stanford Law School ha preso una particolare decisione, ovvero permettere agli studenti, sotto la supervisione del professore, di rappresentare clienti che stanno lottando per vincere battaglie legali sulla libertà religiosa in America. Evidentemente il vento che soffia anche negli USA non è poi così positivo.


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