Titolo L’ultimo teorema di Fermat
Autore Simon Singh
Titolo originale Fermat’s Last Theorem
Anno 1998
Editore BUR – Biblioteca Universale Rizzoli
Tipo Saggio
Il Teorema di Pitagora lo conoscono tutti, a scuola ce ne hanno fatto imparare l’enunciato praticamente a memoria, e così, come tutti sappiamo benissimo che “Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura, che la diritta via era smarrita”, altrettanto bene ricordiamo che “In un triangolo rettangolo, la superficie del quadrato costruito sull’ipotenusa è equivalente alla somma di quelli costruiti sui cateti”. Oppure, scritto attraverso la propria formula:
Tale importante teorema era già conosciuto nel mondo antico ben prima di Pitagora, ma viene ricordato col nome del geniale matematico greco poiché fu lui a darne la dimostrazione. Le dimostrazioni basate sulla logica e su teoremi e dimostrazioni già appurati sono fondamentali in matematica, ed il bello è che le proprietà dei numeri sono tali che, una volta che riusciamo a carpirne i segreti, possiamo stare certi che queste regole sono valide sempre ed in qualsiasi caso simile, da qui all’eternità.
E fin qui tutto bene…
I problemi iniziano a manifestarsi quando anzichè elevare gli elementi di questa equazione al quadrato, proviamo ad elevarli al cubo:
In questo caso, a differenza dell’equazione precedente, sembrano non esistere numeri interi che forniscano una soluzione né a questa, né ad altre equazioni simili con esponente maggiore di due.
Ovvero, in generale, non esistono soluzioni dell’equazione:
Nulla di strano, di equazioni impossibili ne esistono molte; il problema è che, partendo dagli antichi greci, nessuno che si sia confrontato con tale problema è riuscito a darne una dimostrazione, lasciando aperta la possibilità che una remotissima soluzione potesse esistere e che di conseguenza l’enunciato iniziale sarebbe falso.
Io lo so... Ma non ve lo dico!
La situazione è rimasta in stallo per secoli, fin quando, nel XVII secolo, un magistrato francese che coltivava la matematica come hobby, si imbattè nell’equazione che da quel momento in poi è sempre stata conosciuta col suo nome. Già, si trattava proprio di Pierre de Fermat. Il francese non faceva il matematico di professione, era abbastanza riluttante a frequentare gli ambienti accademici ed il suo mentore in questo campo del sapere non fu un professore ma un libro, una copia dell’Arithmetica di Diofanto di Alessandria, su cui soleva prendere appunti e note a margine nel corso dei propri studi; dotato di un talento fuori dal comune per ciò che riguarda i numeri, a Fermat non importava far progredire la scienza matematica ma era interessato a risolverne i problemi per puro gusto personale, e rifiutò sempre di divulgare le sue scoperte e di intraprendere una carriera accademica; per questi motivi i matematici suoi contemporanei lo trovavano piuttosto irritante, ma le sue innegabili doti gli valsero comunque il titolo di “Principe dei dilettanti”.
Fu solamente dopo la sua morte che una delle sue note portò quello che da allora è conosciuto come Ultimo Teorema di Fermat ad essere il più intrigante ed inafferrabile problema di questa disciplina, un vero e proprio Santo Graal della matematica.
Riferendosi al problema di trovare una dimostrazione per equazioni assimilabili a quella pitagorica con esponenti maggiori di due, Fermat appuntò un’enigmatica nota, che più che portare alla soluzione del teorema servì solamente ad accrescerne la fama di problema insolubile. La sua celebre annotazione infatti recitava:
“Dispongo di una meravigliosa dimostrazione di questo teorema che non può essere contenuta nel margine troppo stretto di questa pagina”.
Il mistero continuò a rimanere tale, nonostante ad esso si dedicarono, fra gli altri, eminenti matematici del calibro di Eulero e Gauss, e la storia della sua soluzione iniziò a costellarsi di dettagli decisamente poco matematici come identità segrete, duelli mortali, suicidi e cospicui premi in denaro.
Niente di tutto ciò è servito però a dare una risposta definitiva a questo enigma, e col passare del tempo, iniziò a prendere piede la convinzione che nessuno era mai riuscito a dare una dimostrazione del teorema semplicemente perchè essa non esisteva, e quindi il teorema fosse falso.
Niente può scioccarmi. Sono uno scienziato.
Ma ogni Santo Graal ha il proprio Indiana Jones, ed il nostro risponde al nome di Andrew Wiles.
Nato nel 1953 in Inghilterra, a dieci anni il piccolo Andrew si imbattè in un volume di enigmi matematici che finì per appassionarlo a questa materia; ciò che lo colpì maggiormente fu che di uno di questi enigmi, a differenza di tutti gli altri, in fondo al volume non veniva indicata la soluzione; ormai è chiaro il perchè, indovinate un pò di che teorema si trattava?
Il richiamo di un enigma così semplice da poter essere compreso nella sua formulazione da chiunque abbia una conoscenza basilare della matematica, ma che aveva resistito a tutti i tentativi di decifrazione da parte dei matematici negli ultimi due millenni e mezzo, fu irresistibile, e determinò la futura carriera di Wiles.
Il matematico non si lasciò scoraggiare dal fatto che ormai questo problema in ambito accademico veniva considerato alla stregua di una curiosità di importanza relativa, che rischiava di gettare nel ridicolo chi vi si dedicasse apertamente (il paragone con il Graal in ambito storico/archeologico è quanto mai calzante), e coraggiosamente sfidò il beffardo Fermat.
Attraverso lo studio dei tentativi di tutti i grandi matematici del passato che si erano cimentati con questo problema ed applicando le proprie conoscenze della teoria dei numeri (la branca della matematica che costituisce il suo ambito di ricerca), intraprese un percorso che attraverso innumerevoli difficoltà e isolamenti auto-inflitti, sempre con lo spettro del fallimento dietro l’angolo, Wiles nel 1995 riuscì finalmente a dimostrare l’indimostrabile: attraverso l’applicazione di teorie avanzate e molto complesse ed unendo branche della matematica molto distanti fra loro (in particolare le Curve Ellittiche e della cosiddetta Congettura di Taniyama-Shimura), alla fine Fermat aveva dovuto capitolare.
Questa è, molto in breve, la storia dell’Ultimo Teorema di Fermat.
Il libro di Singh la descrive in maniera approfondita ed avvincente, mantenendo sempre un taglio divulgativo: non entra mai troppo nel dettaglio con formule e descrizioni matematiche dettagliate (che sarebbero comunque incomprensibili per chiunque non fosse un matematico di professione: la dimostrazione è costituita da circa 150 pagine di calcoli complessi…), ma si concentra piuttosto sulle persone che nei secoli hanno avuto a che fare con questo appassionante enigma; ed estremamente appassionante è anche la narrazione, degna dei migliori romanzi d’avventura: Singh ci racconta parallelamente la storia del Teorema, quelle dei matematici che vi si sono cimentati, e quella di Wiles, intrecciandole e dandoci una gran quantità di curiosità e, per così dire, di retroscena.
Insomma, un libro che si fa letteralmente leggere tutto d’un fiato, una vera e propria avventura nel mondo dei numeri, che col pretesto di raccontarci questa ricerca ci dà anche moltissime altre informazioni sulla matematica in generale, disciplina che in molti trovano ostica ma che dovrebbe comunque essere approcciata nella giusta maniera (cosa basilare per qualsiasi disciplina, in fondo) per poter essere veramente apprezzata.
Prima di mettere la parola fine a questa avventura, in realtà ci sarebbe da considerare un piccolo dettaglio: i complessi strumenti usati da Wiles per risolvere il Teorema appartengono tutti alla matematica contemporanea, le Curve Ellittiche e la Teoria di Taniyama-Shimura non potevano in alcun modo essere a disposizione di Fermat quando fece la sua clamorosa dichiarazione. Ne consegue che la sua meravigliosa dimostrazione per forza di cose non poteva essere la stessa di Wiles.
Il che ci apre due possibili scenari: o Fermat aveva sbagliato qualcosa, e la dimostrazione che pensava di aver trovato in qualche punto conteneva degli errori che la invalidavano, oppure…
Oppure aveva ragione, e la sua soluzione è molto più semplice di tutte le teorie che sono nate da quando fu scoperta la sua famigerata nota; purtroppo non potremo mai sapere la verità, ma se così fosse, il beffardo Fermat starebbe ancora oggi sogghignando.