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Libro sul comodino: La strada

Creato il 15 luglio 2012 da Gorgibus @chiaragorgibus

"Nessuna lista di cose da fare. Ogni giornata sufficiente a se stessa. Ogni ora. Non c'è un dopo. Il dopo è già qui. Tutte le cose piene di grazia e bellezza che ci portiamo nel cuore hanno un'origine comune nel dolore. Nascono dal cordoglio e dalle ceneri. Ecco, sussurrò al bambino addormentato. Io ho te."da “La strada” di Cormac McCarthy
Credo di aver già scritto, da qualche parte in questo blog, che non amo leggere le trame dei romanzi che mi appresto a leggere, spesso le leggo prima di comprarli per poi dimenticarle. L'aspetto positivo è l'avere soltanto il titolo, ed eventualmente la copertina, a guidarti, e la meraviglia inaspettata di aver immaginato un romanzo del tutto diverso.Questo è esattamente quello che è successo con “La strada” di Cormac McCarthy, avevo dimenticato la trama. Così, prima di iniziare a leggere, il titolo mi aveva ispirato l'idea di un romanzo con molti personaggi, dai colori squillanti e dai suoni assordanti. Lo stupore di ritrovarsi in un mondo post-apocalittico nel quale natura è stata sconfitta, i sogni anche, e in cui sembrano essere estinti anche gli ultimi baluardi dell'umanità è stato enorme.
Ho adorato questo libro. Ho amato lo stile singhiozzante, nevrotico, asciutto che disegnava una Terra gelida, morente, letale, e del viaggio di due superstiti alla ricerca di qualcosa che chissà se c'è. Superstiti di cosa? Un incidente nucleare? Un disastro ambientale? Chi può saperlo... Ma è importante? No, non lo è. Che importa sapere cosa ha gettato il pianeta in una tale desolazione se questo è tutto ciò che resta. Non importa, per questo McCarthy non ce lo racconta. Cosa importa se prima eravamo dei medici o dei banchieri, se avevamo delle belle case o vivevamo in una roulotte, se il massimo che possiamo fare è trascinarci faticosamente verso un punto non meglio identificato? Se tutto ciò che resta è fame e polvere e morte? Non importa, e McCarthy infatti non ce lo racconta.
I personaggi non hanno nome, sono l'uomo e il bambino, non il padre e il figlio ma l'uomo e il bambino... e in questa scelta di vocaboli c'è tutto il romanzo, il senso profondo della storia e il dualismo che non solo regge "La strada" ma il mondo intero.  E tu lettore ami quel bambino quanto suo padre e cominci a desiderare che nel mondo, quello vero, e negli uomini, quelli reali, ci sia un po’ più del bambino.
E la lingua... ah la lingua! Lo stile di McCarthy è secco, essenziale, con frasi brevi; si fonde con le immagini che descrive, è funzionale alla storia, fondamentale per trasmetterti quel senso di oppressione, di smarrimento, di paura e di irreparabile perdita. Uno stile che pur potendo risultare, in alcuni tratti, crudo e asettico, riesce a raggiungere livelli di lirismo che difficilmente appartengono alla prosa e al genere; ci sono delle descrizioni del paesaggio che ti scavano dentro e dialoghi che inteneriscono fino alle lacrime.
Leggere "La strada" non è leggere un romanzo post-apocalittico qualsiasi, non è leggere un libro di fantascienza usa e getta, è un viaggio, un percorso doloroso, angosciante, in un mondo che fa paura, fatto di immagini che ti terrorizzano e che in qualche modo ti porterai dentro per sempre. Sono trascorse circa due settimane da quando la mia copia è stata riposta e alcune scene continuano a tormentarmi, vivide nella mia mente, e altre a riempirmi di un sentimento dolce-amaro.
McCarthy è stato una rivelazione, un colpo di fulmine a ciel sereno. Un autore che voglio conoscere a menadito, di cui voglio leggere tutto. Un autore che ti spinge a farti domande, su te stesso e sul mondo... e non è di questo che parliamo quando ci auspichiamo un'esperienza di lettura superiore?

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