L’altro giorno non so come in classe mentre parlavo del discorso delle leggi di Socrate ci siamo ritrovati a parlare di accanimento terapeutico e di eutanasia, citando il caso Englaro e il caso Welby, che hanno infiammato il dibattito dell’opinione pubblica negli anni precedenti.
Purtroppo sono argomenti difficili e i ragazzi, si sa, vedono bianco o nero.
Il problema, a mio avviso, si gioca tutto su due argomenti: 1) la libertà personale 2) definizione del concetto di vita.
Per il primo punto, se libertà personale, in un paese laico, vuol dire avere libertà di disporre del proprio corpo e di rifiutare trattamenti indesiderati al proprio mantenimento in vita, allora le istituzioni non dovrebbero intervenire nel privato del cittadino. Io non ne so molto di giurisprudenza, ma il mio buon senso mi dice che quando un padre decide di sospendere i trattamenti di alimentazione e di idratazione alla propria figlia in stato vegetativo da 17 anni non può essere chiamato assassino.
Secondo punto: la vita quando inizia e quando finisce? Secondo la chiesa, appena l’ovulo viene fecondato; secondo la scienza quando il feto ha tutti i suoi organi sviluppati; secondo me quando si viene alla luce, si cerca il seno materno, famelici, assetati del mondo che dobbiamo scoprire.
La vita non è un semplice respirare, la vita è respirare con coscienza.
Cosa è la morte? Dando uno sguardo su internet ho scoperto che esistono tre tipi di morte: la morte clinica, con l’arresto dell’apparato cardiocircolatorio, la morte reale, con la cessazione della funzione respiratoria e la morte legale, con la fine dell’attività nervosa.
Quindi?
Se sono fortunato, ho l’arresto contemporaneo di tutte e tre queste funzioni allora metto d’accordo scienza, stato e chiesa, sono un morto con la M maiuscola; ma se Thanatos decidesse di farmi uno scherzetto e mi rianimano mentre il mio cervello se ne va in tilt, non avendo raggiunto il punteggio massimo e pur essendo costretto a restare attaccata ad un respiratore, sono comunque ancora vivo.
Ciò mi crea una gran confusione.
E’ necessario allora che il diritto decida di definire chiaramente cosa sia la vita e cosa sia la morte, per permettere agli uomini di vivere e morire con dignità. Non importa cosa dica la chiesa, perchè nemmeno i suoi rappresentanti hanno il potere di dare una risposta certa su questi argomenti esistenziali. E’ come se si volesse dare una definizione o una prova scientifica del concetto di anima. Mettiamo che l’anima sia nel cuore, vuol dire che se il cervello non dà più segni di vita e il cuore continua a battere, allora l’anima c’è ancora; se decidessimo che l’anima è nel cervello, nello stesso caso, allora sarei morto. Sta di fatto che senza il cervello non funziona più niente, ma qualcuno potrebbe obiettare che l’anima non è un organo. Quindi?
Niente.
Il problema è che quando siamo stati creati nessuno ci ha lasciato una specie di costituzione dell’essere umano con la definizione di tutti i concetti fondamentali sulla vita, la morte, l’etica e la morale e tutto il resto degli argomenti a cui invano i filosofi hanno cercato di dare una risposta nel corso dei secoli. Si sa che chi ci ha creati ha un grande senso dell’umorismo.
Per quanto mi riguarda, io non auguro a nessuno di stare al capezzale di un proprio caro, in coma, attaccato ad un respiratore, nemmeno per un giorno, per un’ora, per un minuto. Si arriva sempre ad un certo punto in cui chi rimane ha bisogno di piangere la morte vera e non la non-vita, altrimenti di vivi apparenti ce ne potrebbero essere più di uno, anche senza respiratore.