Altra Europa? Ai posteri l’ardua sentenza
La lista Tsipras ha scelto i suoi candidati e come si poteva immaginare ci sono i nomi di alcuni dei firmatari più noti del manifesto che è alla base della lista stessa: Camilleri, Spinelli, Prosperi e Ovadia. La scelta dal basso, ridotta a pochi giorni, con poche o nulle discussioni e apporti ha prodotto l’inevitabile effetto autoreferente. Nel frattempo la questione Ucraina (vedi qui) e il terzo governo visibilmente etero diretto inferto all’Italia, ha alzato la posta di una lista di sinistra che certo non può limitarsi ad auspicare un teorico riequilibrio tra capitale e lavoro o a criticare il dogma dell’austerità (tema peraltro nel carnet di quasi tutte le forze politiche) senza alcuna proposta di strategia e di strumentazione politica che non siano le fruste espressioni di più Europa o un’altra Europa. C’è infatti anche un problema di democrazia che è stato trascurato in nome di un europeismo di maniera e che invece esige una profonda revisione degli strumenti di partecipazione, di gestione economica e di decisione all’interno della Ue.
Tutto questo richiede almeno tre caratteristiche: una contrapposizione senza compromessi al pensiero unico neo liberista, una possibilità di presenza costante e di capacità di lavoro sulle documentazioni per sventare i trucchi e gli infingimenti della maggioranza, una attitudine a mobilitare l’opinione pubblica. Ora con tutto il bene non credo che tutto questo sia nelle possibilità del novantenne Camilleri la cui elezione al Parlamento di Strasburgo sarebbe poco più che onorifica. E con molto meno bene non credo proprio che la sinistra possa essere rappresentata da una signora, figlia di, che sino a pochi mesi fa era la madre orsolina di questo assetto europeo, nonché pasionaria del realismo filobancario. O se lo stimabilissimo Moni Ovadia possa e voglia abbandonare i suoi impegni e la sua vocazione teatrale per immergersi nella burocrazia brussellesca. E infine sono sorpreso dal nome di Adriano Prosperi la cui appartenenza alla sinistra mi giunge del tutto nuova: da sempre vissuto in mezzo a raffinati problemi di storiografia sui movimenti ereticali del ’500 e sull’inquisizione, di cui rivaluta il ruolo, è anche e soprattutto noto per essere il difensore a tutto tondo del proprio maestro ossia di quel Delio Cantimori che è uno dei più preclari esempi di voltagabbanismo intellettuale, essendo passato dall’esaltazione del nazionalsocialismo e delle leggi razziali al marxismo in perfetta sincronia con l’andamento della guerra e maturata definitivamente dopo la morte del suo protettore Giovanni Gentile. E’ ciò che nell’ipocrisia accademica si chiama “una complessa parabola”. Per carità nulla di nuovo nell’intellighentia italiana, mai liberatasi dagli istinti cortigiani, ma insomma diciamo che non trovo Prosperi il personaggio più adatto a condurre una battaglia senza quartiere fuori dalle ovattate biblioteche e men che meno ce lo vedo a farlo dagli spalti della sinistra, a meno che non si voglia scambiare per sinistra qualsiasi tentazione di anticonformismo o di vago e imprecisato antiliberismo.
Del resto un pessimo segnale è venuto dalla scelta del simbolo: sui 4 proposti per il voto della base nessuno presentava la parola “Sinistra”, cosa tutt’altro che marginale e indizio di un’opposizione generica sulla quale non punterei un centesimo.
Come al solito, senza nemmeno la mossa di rivolgersi a nomi nuovi e ad energie fresche che pure ci sarebbero, ci si affida alle erme di sempre, (magari dando anche qualche passaggio ad austoppisti che poco o niente hanno a che fare con la sinistra), ma il cui apporto concreto non potrebbe che essere scarso per usare un eufemismo. Ma ecco che in una lettera all’Huffington Post, sempre gruppo de Benedetti e dunque di osservanza renziana, Camilleri, Oviadia e Spinelli fanno sapere di essere proprio specchietti per allodole e nomi bandiera, visto che a loro dire, lasceranno il posto ad altri candidati. Chi e scelti da chi? Dunque si comincia con appartenenze poche chiare e si finisce con un frusto trucchetto elettorale di sapore berlusconiano, con una ipocrisia degna di peggior causa.
Non so se questa ultima uscita sia dettata più che dalle reali intenzioni, dalle ovvie obiezioni che mi sono sforzato di elencare in precedenza, ma in ogni caso si confonde e si vanifica la battaglia culturale che i candidati bandiera possono e dovrebbero fare, con un ruolo politico ambiguo che finirà per ridurre la loro libertà di denuncia. La mancanza di coraggio e il vizio di fare sempre riferimento allo spirito di clan e di salotto, chiudendo fuori dalla porta la famosa società civile, salvo che nelle invocazioni e nei trucchi, finiscono per condannare queste operazioni alla marginalità insita nella stessa incapacità di trovare posizioni e strumenti forti. Mi chiedo fino a quando si dovranno perdere le occasioni inseguendo imprese di questo tipo ormai del tutto inadeguate alle sfide cui vorrebbero contrapporsi.