Lo scontro tra Obama e i repubblicani sul bilancio federale non si placa
Dal primo marzo scorso, negli Usa, sono divenuti effettivi i tagli decisi nel 2011 a seguito del mancato accordo tra repubblicani e democratici sul bilancio federale.
Si tratta di 85 miliardi di minori spese che potrebbero portare ad una riduzione di circa 700.000 posti di lavoro, causando ad esempio maggiori code agli aeroporti per la mancanza di un numero adeguato di dipendenti, lasciati a casa, preposti a gestire le procedure di sicurezza antiterrorismo.
Diminuirà il numero di insegnanti, di pompieri e non vi saranno fondi sufficienti a garantire alcuni servizi sanitari di prima necessità.
Non vi saranno risorse adeguate per mantenere in efficienza i parchi nazionali e la sicurezza nelle strade.
Gli effetti di tali tagli non si avvertiranno subito, passeranno alcune settimane, giusto il tempo per esaurire i fondi di emergenza. Tuttavia, quando cominceranno a farsi sentire, i disagi per la popolazione saranno notevoli e, a quel punto, la speranza dell’opposizione repubblicana è che i cittadini cominceranno a scagliarsi contro la Casa Bianca di Barack Obama.
La colpa sarebbe del presidente che, per evitare simili tagli, noti come “sequester”, non avrebbe esitato a opporsi con tutte le sue forze ad analoghe riduzioni di spesa nei c.d. “entitlements”, i programmi di welfare come il sistema pensionistico, la Social Security, e i programmi di assistenza sanitaria per i poveri, il Medicaid e per gli ultra sessantacinquenni, il Medicare.
Il Gop vorrebbe mettere sotto accusa Obama, considerandolo un pericoloso “socialista” che pur di non toccare programmi di spesa fuori controllo, non solo non avrebbe avuto alcuna remora a permettere che il sequester avesse luogo, ma addirittura avrebbe voluto un ulteriore aumento delle imposte.
Ovviamente la realtà è ben diversa.
I tagli automatici al bilancio, appena entrati in vigore, avrebbero dovuto essere accompagnati sia da una possibile riduzione delle spese per gli “entitlements” (fortemente voluta da Obama anche contro la stessa base più a sinistra del suo partito democratico) sia da un aumento delle imposte per le classi più abbienti (non necessariamente con un incremento delle aliquote, ma anche sotto forma di una riduzione degli sgravi fiscali di cui molti milionari americani godono, insieme alle loro corporation).
Il tutto con l’obiettivo di ridurre il deficit del bilancio federale attraverso un mix equilibrato di tagli e aumenti di tasse.
Le cose sono però andate diversamente.
I repubblicani, capeggiati dallo speaker John Bohner, non hanno voluto cedere sul tema di un ulteriore aumento delle imposte, scottati dalla bruciante sconfitta di aver acconsentito ai 600 milioni di nuove tasse per i più ricchi, necessari a risolvere il problema del “fiscal cliff” di inizio anno.
A ingarbugliare ancora di più la vicenda è poi intervenuta la polemica sorta tra la Casa Bianca e un mostro sacro del giornalismo investigativo americano, Bob Woodward, l’uomo che insieme a Carl Bernstein, con i loro articoli sul Washington Post crearono le condizioni per le dimissioni di Richard Nixon nel 1974, al culmine dello scandalo Watergate.
In un articolo uscito lo scorso week end, Woodward rendeva noto un retroscena sconosciuto.
Egli scriveva che quando, nel 2011, era fallito il tentativo di accordo sul bilancio tra democratici e repubblicani, seguito al pericolo di una nuova chiusura del governo federale, simile a quella avvenuta nel 1995, ai tempi degli scontri tra Newt Gingrich e Bill Clinton, Obama e i repubblicani avevano escogitato il meccanismo dei tagli automatici al bilancio.
Non solo, secondo Woodward, a proporre tale meccanismo sarebbe stata proprio la Casa Bianca, ovviamente nella speranza che, di fronte a simile prospettiva, i repubblicani avrebbero acconsentito a un parallelo aumento delle imposte per i ricchi.
L’articolo, di per sé innocuo, anzi una ulteriore testimonianza della volontà di Obama di conseguire un compromesso accettabile per contrastare la furia ideologica dei conservatori, non era stato gradito da Gene Sperling, direttore del National Economic Council.
Già consigliere di Clinton, Sperling era stato richiamato in servizio da Obama a capo dei suoi consulenti economici e alla lettura dell’articolo di Woodward, gli aveva telefonato e, al culmine della collera, lo aveva minacciato dicendogli che si sarebbe pentito di ciò che aveva scritto.
Una gaffe imperdonabile che Woodward aveva subito rivelato e che è stata sfruttata dai repubblicani per denunciare la prepotenza della Casa Bianca contro i giornalisti e la libera stampa.
Una vicenda imperdonabile, segno di notevole nervosismo, e che potrebbe indebolire la capacità di Obama di controbattere con efficacia ad un partito repubblicano sempre più ideologizzato e disposto a tutto pur di ostacolare le sue scelte di governo.
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