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Lo scrittore è un artigiano

Da Marcofre

lo scrittore è un artigiano della parola

Lo scrittore delle isole Orcadi George Mackay Brown, in un’intervista degli anni Novanta a un giornale, faceva due interessanti affermazioni.
La prima: non è mica vero che chi scrive è superiore a un muratore, anzi. E ricordava che in lingua scozzese il poeta era definito “makar”.
Vale a dire artigiano.

Artigiano della parola

Il ruolo di chi scrive è considerato in maniera differente, nelle Isole Britanniche. Bisognerebbe avere una conoscenza approfondita della letteratura inglese per affermarlo con certezza; ma mi pare che “lassù” chi scrive preferisca essere un artigiano, stare accanto alle persone. Anzi, si consideri scrittore solo se il pubblico lo apprezza, lo sente accanto. Che poi questo non impedisca a qualcuno dei critici di inorridire davanti a vendite stratosferiche (come quelle realizzate da Charles Dickens, per fare un esempio), mi pare evidente. Ci vorrà un Chesterton per mostrare il valore di Dickens.
“Quaggiù” nel Paese del sole e del mare, chi scrive dice di farlo per il popolo, ma in realtà lo disprezza profondamente. Per questo preferisce “educarlo”.
Si ama solo quello che ci somiglia, altrimenti lo si disprezza.

La cura del proprio talento

Mackay Brown affermava anche che a lui non importava molto dell’eredità culturale che avrebbe lasciato. Non si curava di cosa lettori e critici avrebbero pensato delle sue opere. A lui bastava aver fatto buon uso del dono che aveva ricevuto.
Sembra una posizione un po’ sciocca, ma in realtà è l’unica decente.
Non c’è alcuna garanzia, di nessun genere. Il silenzio, l’indifferenza, sono di solito le compagne di chi scrive. Il consenso, il successo, sono un caso che forse si verifica una volta, due, e poi svanisce. Quindi, per quale ragione pensarci, preoccuparsene? Meglio rilassarsi, e cercare di far buon uso del dono della scrittura che si riceve, se si riceve. Scrivere insomma.
Ne siamo proprio sicuri?

Stare là dove c’è il pubblico


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