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Lo shale gas divide quello che l’Europa vorrebbe unire

Creato il 02 marzo 2015 da Valtercirillo

Lo shale gas divide quello che l’Europa vorrebbe unire

Il 25 febbraio l'Europa ha avviato l' Unione energetica europea, che il commissario all'Unione energetica Maroš Šefčovič ha definito "un grande passo verso il completamento del mercato unico europeo". Il progetto, atteso da oltre 60 anni, cioè dalla nascita della Comunità europea del carbone e dell'acciaio (Ceca), nel 1951, ha suscitato grandi speranze ma anche qualche critica. Tutto sta nel vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, cioè se si guarda allo slancio verso l'armonizzazione delle politiche energetiche nazionali, o alle divisioni che fanno apparire questo obiettivo molto lontano.

In Italia, un analista profondo come Giovanni Battista Zorzoli ha commentato: "In più di un caso i contenuti della Comunicazione non forniscono una risposta soddisfacente agli obiettivi indicati, confermando le difficoltà che si incontrano nel mettere a punto una politica energetica europea ".

In alcuni casi le divisioni fra i Paesi sono storiche, e quindi praticamente insanabili. È il caso per esempio dell'energia nucleare, con centrali attualmente in funzione in 14 Paesi su 28 (Belgio, Bulgaria, Finlandia, Francia, Germania, Paesi Bassi, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia e Ungheria). In questo quadro, le politiche presenti e future sono le più disparate: la Lituania ha chiuso da poco le sue centrali e medita di costruirne altre; la Germania invece vuole chiuderle tutte entro il 2022; la Polonia viceversa sta sviluppando il suo primo progetto nucleare; il Regno Unito si avvia a costruire una nuova tornata di centrali; la Croazia partecipa al 50% della produzione della centrale slovena; altri Paesi, come l'Italia, non producono energia nucleare ma la importano.

Ma l'Europa si sta facendo trovare divisa anche al varco delle nuove rivoluzioni energetiche, a partire da quella delle risorse fossili non convenzionali: innanzitutto lo shale gas (o gas di scisto), che ha cambiato il panorama dell'energia negli Stati Uniti, abbattendo i prezzi e rendendo la vita difficile alle altre fonti.

Lo shale gas divide quello che l’Europa vorrebbe unire

A differenza del nucleare, l'uso dello shale gas è un fenomeno recente: non sarebbe stato impossibile armonizzare le politiche europee. Ma le differenze ci sono. In molti Paesi è visto con sospetto, soprattutto a causa degli impatti ambientali e sanitari delle tecniche invasive di estrazione (principalmente il fracking, o fratturazione idraulica); in altri invece è considerato come una possibile soluzione al problema del rifornimento energetico: è il caso per esempio della Polonia, che dispone di risorse notevoli di shale ga s e sfruttandole potrebbe emanciparsi dalla dipendenza energetica dalla Russia.

Il 27 febbraio la Commissione Europea ha pubblicato le risposte dei singoli Paesi alla domanda "Avete concesso o prevedete di concedere autorizzazioni per l'esplorazione o la produzione di idrocarburi che possono richiedere l'uso di un elevato volume di fratturazione idraulica?".

Su 28 Paesi membri, 17 hanno risposto "no" (Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Estonia, Finlandia, Francia, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lussemburgo, Malta, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Svezia), 5 "sì" (Danimarca, Paesi Bassi, Polonia, Regno Unito e Romania) e 6 "potrebbe essere" (Austria, Germania, Lituania, Portogallo, Spagna e Ungheria). In Francia e Bulgaria, invece, le autorizzazioni inizialmente concesse sono state revocate in un secondo momento in seguito ad atti normativi che le vietavano.

Le risposte affermative riflettono realtà e situazioni diverse: la Danimarca ha già concesso due licenze onshore e sta studiando eventuali progetti offshore; la Polonia sta esaminando 48 domande di licenze onshore e 8 offshore; nel Regno Unito due richieste sono state sottoposte al giudizio delle autorità ambientali; i Paesi Bassi hanno assegnato 3 permessi onshore che però sono congelati in attesa della valutazione dell'impatto ambientale del fracking da parte del governo; la Romania ha concesso due licenze che potrebbero comportare la fratturazione idraulica.

Anche fra i "no" le posizioni sono diverse: per esempio l'Italia nel 2014 ha proibito esplicitamente "l'esplorazione e la produzione di shale gas e shale oil, la concessione dei relativi permessi minerari e l'uso di ogni tecnica idraulica per la produzione di shale gas e shale oil "; l'Irlanda invece ha sospeso ogni decisione in attesa dei risultati di uno studio dell'Environmental Protection Agency (EPA) americana sui potenziali impatti ambientali della fratturazione idraulica.

Finora, in nessun Paese europeo è iniziata la produzione di shale gas su scala commerciale, ma si stima che in alcuni Paesi (come Regno Unito e Polonia) potrebbe iniziare fra il 2015 e il 2017; alcuni progetti pilota sono già stati realizzati. Come mostra il caso della Polonia, è comprensibile che ci siano interessi diversi sullo shale gas. Però non è un segnale di armonizzazione delle politiche. Come conclude Zorzoli: "Nel bene (non molto) e nel male (prevalente) esso riflette l'attuale stato dell'Unione Europea, incapace di superare i veti incrociati degli Stati membri e degli interessi settoriali ".

Paolo Gangemi

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