“Un'altra Tequila, Grazie!” E cosa volete bere in Messico?Acqua? 18 ottobre 1968. È l'alba ed a fare la richiesta non è uno qualunque. Bob Beamon da lì a poche ore avrebbe dovuto presentarsi in pedana. Di mestiere fa l'atleta. Salto in lungo, per la precisione. Giù un altro sorso, il “cicchettino” è una mala usanza che si ha in Europa. Ed in una serata in cui si deve sciogliere la tensione non è detto che il bicchierone accompagnato da sale e limone sia un male, anche per evitare i pensieri che spesso affiorano proprio nel momento in cui vorremmo ci lasciassero in pace. E fidatevi che “l'uomo” Bob Beamon ne aveva. Storia di un'infanzia difficile senza la madre, di un amore andato alla deriva e di soldi, troppo pochi rispetto a quelli che doveva. Però quel giorno, il giorno della finale se lo andò a prendere Beamon. Per carità scordatevi la classica cornice di sole ed i tifosi festanti che trasformano lo stadio in un calderone di colori. Tutt'altro. Quella mattina poco prima della finale allo stadio di città del Messico veniva giù acqua a secchiate e a tratti tiravano raffiche di vento. Bob era il numero quattro. I primi tre a causa anche delle intemperie avevano fatto cilecca e ora toccava a lui. C'era da fare in fretta. Il tempo pareva dare un secondo di tregua e via con la rincorsa a perdifiato. I tre lunghi passi che preparano lo stacco, poi il colpo di reni e l' atterraggio. Bocca aperta. Il che significa che non bastò il misuratore ottico, ma anzi bisognò trovare un metro supplementare per portare a termine la misurazione che diede il responso di 8,90! Inutile dirvi il metallo della medaglia. Beamon per anni provò quanto meno a sfiorare quella misura. Niente da fare. La rivincita si era già compiuta.
Sebastiano Paterniti