30 luglio 2014 Lascia un commento
L’incipit e’ curioso, due donne, mogli di due fratelli biologi, muoiono in un incidente stradale e una terza donna, la guidatrice loro amica, perde una gamba. L’evento tragico scatenera’ nei due un bisogno comprensibile ma irrealizzabile di capire la dinamica dell’esistere e nel contempo, il rapporto con la donna menomata, diverra’ carnale e simbolico mentre attorno altri personaggi legati tra loro dallo zoo nel quale lavorano mentre gli animali che lo popolano definiscono stadi di ricerca, studio e comprensione, scivolando tra arte, spiritualita’, scienza e filosofia.
Ebbene Greenaway tenta in ogni modo possibile di dare e darsi delle risposte, risposte impossibili s’intende ma e’ curioso come egli non demorda e anzi rilanci confondendo ulteriormente le acque. Inizia o meglio s’accentua in lui, il gioco che coinvolge lo spettatore attraverso riferimenti incrociati tra diverse discipline della scienza, proponendo indovinelli, sciarade, caccie al tesoro tra successioni numeriche ed alfabetiche. Indizi che si ripetono, oggetti nascosti, nell’idea che l’intero cosmo sia riassumibile in una minuscola formula o forse una forma o un numero similmente al "42" del Pensiero Profondo di Adams. Naturalmente egli lo fa a modo proprio, col suo stile gia’ maturo e definito, ancora in via di perfezionamento rispetto a quanto ci fara’ vedere in seguito ma proprio per questo senza la quantita’ abnorme di barocchismi e tecnicismi che diciamolo, hanno reso alcuni suoi ultimi lavori totalmente inguardabili.
Curioso come in fondo, la sua ricerca impossibile dia piu’ risposte e soprattutto sia piu’ efficace di quanto Malick e i suoi dinosauri hanno tentato di fare con "The tree of life", segno forse che, come disse Blake Edwards, "Dio esiste e ha anche il senso dell’umorismo".
"Lo zoo di Venere" conferma l’inizio del suo meglio, un meglio che si spinge sino a "L’ultima tempesta".
Ragione, piacere e divertimento. Rappresentativo,